Libri che vale la pena leggere
Herta Müller, Nobel 2009 per la letteratura, ed Elena Bono: due autrici da scoprire o riscoprire.
Se volete comprare un libro che non sia un fallimento o una delusione per voi, guardatevi dal bestseller: osservate la classifica dei top ten e stracciatela. Poi odorate l’aria. Così ha fatto il piccolo editore Keller di Rovereto (Tn) pubblicando Il paese delle prugne verdi di Herta Müller, ora premio Nobel 2009: un libro che non sarà mai un bestseller neanche per sbaglio, e non perché non si capisca, ma perché invita e impegna il lettore a una lettura seria come lo è stata la scrittura, e non c’è peccato più grande di questo soprattutto in Italia, dove i “grandi” editori con disonestà culturale confezionano, salvo eccezioni, libri come scarpe o formaggini. Niente di male produrre scarpe e formaggini; ma non spacciandoli per libri.
Herta Müller ha patito spiritualmente, culturalmente e letterariamente, nel suo enclave tedesco, la Romania di Ceausescu, squallida e poverissima; poi, fuggita in Germania, ha preso a ricordarla come suo unico inferno dell’esperienza e paradiso della memoria poetica, perché questo libro in prosa è poesia, non nel senso decotto della prosa d’arte o della poesia in prosa, ma in quello ben più arduo di una prosa memoriale che, per necessità di sopravvivenza, diventa continuamente metafora, come fango e sterco nutrono fiori.
È per lei una questione di onestà morale e di fedeltà artistica a sé stessa, del tipo «vada come può andare», che è la ricetta dell’antibestseller. In Europa ha ricevuto molti premi e non molti lettori; in Italia, me compreso, non la conosceva neanche un indovino, tranne il doppiamente meritevole Keller (pubblicare una sconosciuta, e una sconosciuta futura Nobel).
Raccontare questo libro sarebbe non solo impossibile, ma sleale, occorre percorrerlo passo passo, immagine immagine, e per invitare il lettore a questa lettura riporto qualche riga, premettendo che l’unica cosa in cui non sono d’accordo con l’editore è il titolo, ricavato con impressionismo descrittivo (ma la Müller non è descrittiva, è espressionisticamente metaforica). Il titolo vero Herztier sarebbe in italiano La bestia del cuore, dalle righe che riguardano la nonna che dice, dopo aver cantato la ninna nanna alla bambina che ora crede addormentata: «Riposa la tua bestia del cuore, oggi hai giocato così tanto».
Questa è arte: di Lola, ragazza prostituta e forse suicida, si dice: «Lola veniva dal Sud e le vedevi addosso un ambiente rimasto povero (…). Ma l’ambiente di Lola, per come appariva nelle ossa degli zigomi, o intorno alla bocca, o in mezzo agli occhi, era forse più povero. Più ambiente che paesaggio»; ed è, così, perfetto il ritratto di una persona a cui va tutta l’affezione e la desolazione dell’autrice.
«Le mani di Lola tremavano e i suoi occhi erano più di due in volto. Le sue mani erano vuote e più di due nell’aria». Non so Herta Müller, ma io così mi immagino lo sguardo di Dio, comprensione infinita. E artisticamente questo è meraviglioso espressionismo astratto, si direbbe in pittura; ma mentre in quella è facile trovare croste e patacche, in letteratura è più difficile menare per il naso il lettore: provatevi a imitare Kafka.
La Müller riesce ad affiancarlo: «Due giorni dopo l’impiccagione, nell’aula magna alle quattro, Lola fu espulsa dal Partito e cancellata dal registro del collegio. Erano presenti centinaia di persone». Sublime sarcasmo tragico.
Dopo aver sperato che queste esche bastino, voglio segnalare un altro libro molto importante, che introduce appropriatamente a una scrittrice non-Nobel non per colpa sua, e di cui più volte ho parlato, Elena Bono, la cui opera meriterebbe un Paese migliore, critici meno allineati al mercato, e lettori più capaci di conoscere e osare.
Stefania Venturino allestisce per l’editore Le Mani di Recco (Ge), che pubblica da decenni la Bono, un ottimo libro plurimo: Il castello in fiamme e l’unguento della parola – Elena Bono e la sua opera, che in meno di trecento pagine compone una presentazione editoriale, una critica, l’introduzione della Venturino, testimonianze varie tra cui una del sottoscritto e altre di validi critici, “ritratti della poetessa”, una nota autografa della scrittrice, e poi un’oculata sezione antologica che porge assaggi prelibati della sua poesia, della narrativa, del teatro; infine un dvd di intervista e memoria.
Giustamente Stefania Venturino avverte il lettore, o meglio l’introdotto, si spera, alla lettura della più grande e ignorata scrittrice italiana del secondo Novecento, che Elena Bono non è solo questo e quello che si può dire di lei, ma “maestra di vita”, e che perciò i suoi sono libri che, «quasi fossero creature viventi e parlanti, sono scritti per entrare in relazione profonda con il lettore e dialogare con lui»; «quasi che quel libro sapesse di cosa avevi bisogno proprio in quel momento e te lo offrisse».
Un consiglio da amico: lasciate perdere i politici che scrivono romanzi, i critici che li leccano, e i romanzieri che fanno politica, se non altra quella delle proprie tasche; tutta carta ingiustamente, oltraggiosamente stampata.