Libia e Italia, controllo delle frontiere e diritti umani

Memorandum Italia Libia. Cosa vuol dire il rifinanziamento della guardia costiera libica votato dal Parlamento italiano. La grave violazione dei diritti umani e una linea politica da rivedere, nell'analisi dell'autrice dell' "Atlante delle migrazioni, dall’origine dell’uomo alle nuove pandemie"  
Libia Migranti La Presse

Libia e Italia. È accaduto nelle stesse ore in cui l’Oim (Organizzazione internazionale delle migrazioni) denunciava «le innumerevoli vite perse altre detenute o trattenute da trafficanti in orrori inimmaginabili», e mentre il cadavere sfigurato di un immigrato senza nome, incastrato nel relitto di un canotto, continuava a vagare nel Mediterraneo.

Il Parlamento italiano, con una maggioranza sostenuta dai partiti di destra, una minoritaria dissidenza e una sostanziale spaccatura nel Pd e negli altri partiti di governo, ha votato  il rifinanziamento dei vergognosi accordi con il governo libico di Fayez al Serraj a sostegno della guardia costiera libica incaricata di riportare nelle carceri della Tripolitania i disperati che cercano di raggiungere le coste europee, e, di fatto, i criminali che li ricattano, li violentano e li torturano. La votazione  si è svolta nonostante le denunce e le condanne dell’Onu e della Corte penale dell’Aja, e le accorate parole di papa Francesco, ripetute ancora in questi giorni, per richiamare l’attenzione del mondo sugli abusi disumani compiuti nei campi di detenzione libici  contro chi intraprende i “viaggi della speranza”.

Del resto era già stato un governo di centro sinistra nel 2017 presieduto da Gentiloni, ministro degli interni Minniti, a siglare il primo accordo con il governo ufficiale di una Libia ormai inaffidabile e insicura, divisa fra due regimi diversi, e percorsa da bande armate di mercenari e di trafficanti, per stabilire un’intesa reciproca per il controllo dei confini e la gestione dell’immigrazione: formalmente  per rafforzare il pattugliamento delle coste e il contrasto al traffico di esseri umani, di fatto per esternalizzare le nostre frontiere nel Mediterraneo fino al confine della Libia con il Niger.

Contestualmente veniva imposto alle ONG presenti nel Mediterraneo un codice di condotta molto restrittivo, e si dava inizio al processo di criminalizzazione della loro opera di salvataggio. Il ministro Minniti poteva così vantare un successo senza precedenti nella diminuzione degli sbarchi sulle nostre coste: 55mila in meno dell’anno precedente, con una diminuzione del 67%, trascurando il destino delle migliaia di migranti fermati sulle coste libiche con questo accordo e con i soldi dei contribuenti italiani.

Era impossibile, infatti, ignorare che a una diminuzione degli sbarchi corrispondevano condizioni di vita inumane di migliaia di uomini, donne e bambini, intrappolati nei campi di detenzione della Tripolitania: sia quelli ufficiali censiti dal governo libico e talvolta controllati dagli organismi internazionali, sia quelli, inaccessibili e ancora più disumani, gestiti dalle mafie locali, che estorcono denaro, schiavizzano, violentano e torturano chi cerca di raggiungere la costa e imbarcarsi per l’Europa, secondo le numerose testimonianze raccolte da Sos Méditerranée, UNHCR e Medici senza frontiere.

 Sono infatti più di trenta le prigioni governative in cui vengono rinchiusi i migranti per periodi indefiniti di detenzione, ma accanto a queste ve ne sono molti altre, gestite da gang criminali, milizie, trafficanti di esseri umani, che tuttavia godono di finanziamenti governativi e nelle quali le persone vengono schiavizzate, vendute e comprate, costrette ai lavori forzati, le donne e i minori esposti a stupri e sfruttamento sessuale.

Un quadro circostanziato di questa vergognosa situazione emerge dal report di  GDP, Global Detention Project, che promuove i diritti umani delle persone prive di cittadinanza. Incrociando i dati di organizzazioni internazionali presenti sul territorio (UNHCR, OIM, Amnesty International) e quelli di ricercatori e giornalisti d’inchiesta, già dal 2009 GDP cerca di creare un database sui centri di detenzione in Libia e una mappa della loro distribuzione e delle presenze al loro interno.

Come quello di di Az-Zawiyah, sulla costa ovest del Paese, gestito dalle milizie connesse all’ex comandante Abdulrahman al Milad, detto “Bija”, conosciuto per la sua stretta collaborazione con la rete di trafficanti e nella lista nera delle Nazioni Unite per le sue azioni di corruzione e di feroce repressione, ma, come documentato dall’inchiesta del giornalista Nello Scavo di Avvenire, presente alle trattative del 2017 con il governo italiano.

Senza contare che Oxfam ha denunciato un altro aspetto importante della vergognosa ipocrisia con cui vengono attuate le politiche europee sull’immigrazione. Il nuovo rapporto “Trust Fund UE per l’Africa tra difesa delle frontiere e politiche di aiuto”, pubblicato alla fine di gennaio 2020 rivela che negli ultimi 4 anni oltre un miliardo di euro, il 26% degli aiuti totali del Trust Fund (il fondo per gli aiuti alla cooperazione internazionale), sono stati deviati dal loro scopo umanitario per finanziare politiche nazionali di brutale contenimento dei flussi migratori. Nello  stesso periodo solo 56 milioni di euro (meno dell’1,5% del valore totale del fondo) sono invece serviti a finanziare canali migratori regolari.

Fra i 26 Paesi africani beneficiari, la Libia risulta essere il destinatario principale, con 328 milioni di finanziamento. In particolare si è trattato di risorse impiegate per la guardia costiera libica, che si è dimostrata complice dei trafficanti di esseri umani lungo la rotta del Mediterraneo, in parte passati alla più proficua attività di gestione dei lager, e che negli ultimi tre anni ha  operato per riportare 40mila uomini donne e bambini verso quei luoghi di detenzione  dove sono quotidianamente esposti ad abusi e violenze indicibili.

Durante questo periodo l’Italia ha speso in totale la cifra record di 570 milioni per esternalizzare la gestione dei flussi migratori e per finanziare le missioni navali italiane ed europee. Nello stesso periodo solo 22 milioni sono stati spesi per progetti di cooperazione e di aiuto ai paesi africani, finalizzati a diminuirne la povertà e i conflitti e a migliorare le condizioni di vita di quella popolazioni, perseguendo l’obiettivo di prevenire alla radice  la dolorosa necessità di dover migrare per sopravvivere.

Ora questi vergognosi accordi sono stati riconfermati, con la stessa ipocrisia che sta dietro la retorica dell’ “aiutiamoli a casa loro” e assumendosi la responsabilità di condividere veri e propri crimini contro l’umanità.

 

 

 

 

 

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