Libertà di stampa, di male in peggio
Tempi duri per i giornalisti. Sebbene cresca ovunque la coscienza del ruolo chiave della stampa nella vita pubblica e cittadina, le pressioni che vorrebbero asservirla ad interessi di parte, provenienti da grandi gruppi economici, dalla politica e dalle mafie, giungono sempre più spesso all’assassinio, oltre ad “avvertimenti” sotto forma di aggressioni fisiche o minacce. Ed anche in Paesi formalmente tra i più democratici del pianeta, la situazione non è delle più allegre. È quanto emerge dalla classifica mondiale annuale pubblicata da Reporters sans frontières (Rsf) in occasione della Giornata mondiale della libertà di stampa del 3 maggio, che vede un peggioramento generalizzato e il peggior punteggio globale degli ultimi anni.
Secondo l’istituzione, ciò è il risultato dell‘aumento «degli attacchi contro i media e del trionfo degli “uomini forti”, che hanno fatto sì che il mondo – in particolare le democrazie – sia entrato nell’era della “post-verità”, della propaganda e della repressione». In particolare le democrazie. Se persino un presidente della Repubblica della prima potenza mondiale, gli Stati Uniti d’America, si rifiuta di partecipare alla cena annuale con i giornalisti, e ne caccia via alcuni, a sua discrezione, nel bel mezzo di una conferenza stampa e, addirittura, diffonde lui stesso notizie false… possiamo lecitamente chiederci dove andremo a parare di questo passo.
E infatti proprio questo si domanda Christophe Deloire, segretario generale di Rsf, dopo aver segnalato che il cambio – in peggio – che sperimentano le democrazie «dà le vertigini a tutti coloro che pensano che senza una libertà di stampa solida non si possono garantire le altre libertà». L’analisi che accompagna la graduatoria menziona tra gli altri la Polonia di Jaroslaw Kaczynski –che «ha trasformato il settore audiovisivo statale in uno strumento di propaganda» e «si è proposta di asfissiare economicamente diversi media indipendenti che si opponevano alle sue riforme» –, l’Ungheria di Víktor Orbán, la Tanzania di John Magufuli e la Turchia di Recep Tayyip Erdogan, la quale, dopo il fallito colpo di Stato, «è la maggiore prigione al mondo per i giornalisti». Non manca un accenno alla Russia di Vladimir Putin, sempre in “zona retrocessione” (148° in classifica).
Ma i primi fenomeni citati dal breve rapporto sono l’arrivo al potere di Donald Trump e la campagna del Brexit, definiti «una cassa di risonanza per il media bashing (l’attacco ai media) e per discorsi anti-stampa estremamente tossici». Per Rsf,questi hanno dato una spinta significativa verso la presente epoca «della post-verità, della disinformazione e delle notizie false».
Secondo la classifica, l’Unione europea è ancora l’area dove la stampa sta “meno peggio”, anche se è quella che peggiora più in fretta: del 3,80% nell’ultimo anno e del 17,5% negli ultimi tre. Dopo di lei, troviamo le Americhe (ma gli Usa sono solo al 43° posto), seguite dall’Africa, dall’Asia orientale, dal resto dell’Europa e dall’Asia centrale. In coda, Medio Oriente e Maghreb.
A livello nazionale, la top ten è composta da Norvegia, Svezia, Finlandia, Danimarca, Paesi Bassi, Costa Rica, Svizzera, Giamaica, Belgio e Islanda. Gli ultimi della classe sono invece (dal 180° al 170° posto) Corea del Nord, Eritrea, Turkmenistan, Siria, Cina, Vietnam, Sudan, Cuba, Gibuti e Guinea Equatoriale.
La Norvegia è capoclassifica per via della caduta della Finlandia, la migliore negli ultimi sei anni, scesa di due posti «a causa delle pressioni politiche» sofferte da giornalisti e dei «conflitti di interesse» registrati. La Svezia, ora seconda, ha recuperato ben sei posti poiché, sebbene «i giornalisti continuino a soffrire minacce» (persino lassù!), «le autorità hanno inviato segnali molto chiari nel condannare gli autori di queste aggressioni, in varie occasioni». Rsf sottolinea «la collaborazione tra alcuni media, i sindacati e la polizia» come un miglioramento significativo nella lotta contra tali minacce.
Ed è proprio questo il punto dolens nei Paesi messi peggio: oltre alla censura ed altri modi di limitare il diritto all’informazione – tra cui l’incarcerazione di 348 operatori nel 2016 –, l’impunità per gli assassinii di giornalisti supera il 90%. Nel Messico, ad esempio (147° posto) l’impunità è totale. E oltre ai 10 professionisti dei media uccisi lo scorso anno, delle 426 tra aggressioni fisiche, minacce o assassinii registrati dall’organizzazione per i diritti umani e la libertà d’espressione Article 19, 257 sono state commesse da funzionari pubblici o partiti politici. Non per nulla, allora, il segretario generale Onu, António Guterres, ha chiesto «che cessi ogni tipo di repressione contro i giornalisti, perché la libertà di stampa fomenta la pace e la giustizia per tutti». L’invito è diretto ai governi di tutto il mondo.
Rispetto all’anno scorso, la situazione in Italia risulta migliorata. Il nostro Paese, infatti, è passato dal 77simo posto al 52simo. Persistono gravi problemi, come minacce e pressioni ai giornalisti, anche da parte di gruppi politici.
La Giornata mondiale della libertà di stampa
Ricordiamo che la Giornata mondiale della libertà di stampa è stata indetta dall’Assemblea generale dell’Onu nel 1993, dopo una raccomandazione della 26ª riunione della Conferenza Generale Unesco del 1991, a sua volta formulata in risposta a un appello dei giornalisti africani riunti quell’anno in Namibia, firmatari della “Dichiarazione di Windhoek” sul pluralismo e sull’indipendenza dei media. L’edizione 2017, il cui evento centrale ha avuto luogo a Giacarta (Indonesia) dal 1° al 4 maggio, ha avuto per titolo “Menti critiche per tempi critici”, e ha sottolineato il ruolo dei mezzi di informazione nella costruzione di «società più pacifiche, giuste e inclusive».
Barometro 2016 (2017)
Giornalisti assassinati: 59 (8)
Internauti assassinati: 9 (2)
Collaboratori assassinati: 8 (1)
Giornalisti incarcerati: 179 (193)
Internauti incarcerati: 157 (166)
Collaboratori incarcerati: 12 (10)