Libertà, privacy e reati
Si può usare la tv per difendersi e veicolare l’idea che libertà e riservatezza siano inattaccabili persino da palesi illegalità?
Le notizie che coinvolgono il presidente Berlusconi si susseguono a pieno ritmo e aprono di ora in ora ulteriori filoni di aggiornamento che rimbalzano come veri scoop: Ruby va in discoteca ma viene accolta con un certo distacco se non con fastidio; la Minetti sarà interrogata dalla Bocassini nei prossimi giorni, anzi, l’interrogatorio è anticipato, di nascosto, per evitare l’assalto dei giornalisti. Anche l’apertura dell’anno giudiziario diventa l’occasione per tentare di spostare l’attenzione sul tema delle intercettazioni. Per dirla in poche parole: c’è una notevole confusione sui temi del dibattito pubblico, sulle persone, sui rapporti tra i poteri dello Stato.
In questo quadro nebuloso emerge evidente il filo delle scelte comunicative del Premier. Nei giorni iniziali dello scandalo lascia la parola ai suoi avvocati e ai suoi portavoce. Poi si rivolge agli italiani attraverso gli ampi messaggi trasmessi dalle sue emittenti, mostrando controllo di sé sebbene sia una vittima condotta al macello. In ultimo interviene personalmente – per telefono – nei talk show televisivi, palesemente esasperato.
Facciamo attenzione alle parole che usa: libertà e riservatezza si ripetono incessantemente e ci portano a credere, come lui sostiene, che esiste una libertà inviolabile a cui nessuno deve attentare e che le iniziative della magistratura sono delle offese personali. In altri termini intende dire, implicitamente, “io sono mio” (parafrasando vecchi slogan), cioè “mi so ben difendere da solo, so esprimere quello che penso, nella mia vita faccio quello che voglio e quindi lasciatemi in pace”.
Diventa in questo modo il leader di quanti la pensano così, e non sono pochi, perché è come se dicesse – e quasi gli crediamo, perché i modi sono convincenti ed affabili ed ostentano incredibile sicurezza – che in fondo in fondo ogni cittadino è libero di incassare e spendere i propri soldi come vuole senza necessariamente renderne conto allo Stato; che siamo liberi di dare denaro o altro in cambio di favori; che possiamo utilizzare i nostri posti di lavoro per trarre vantaggi e profitti personali; e che possiamo invitare a cena chi vogliamo.
Tuttavia taluni dei comportamenti che Premier ora difende potrebbero configurarsi – in determinate circostanze e con determinati presupposti – come veri e propri reati. Non sono affatto scelte di una libertà che deve rimanere blindata dalla privacy ma comportamenti che l’ordinamento italiano (e non solo) ritiene contrari a leggi ancora in vigore.
Incassare e spendere soldi senza lasciare traccia può diventare evasione fiscale. I regali agli amici possono sottilmente trasformarsi in corruzione, o quantomeno possono essere interpretati come tali. La persona incaricata di un pubblico servizio che abusa del suo potere per indurre altri a dare o a promettere denaro o altre utilità a sé o ad altre persone ancora, commette il reato di concussione. Gli uomini che pagano le ragazze che hanno meno di 18 anni per intrattenersi intimamente con loro, non solo sfruttano ma anche inducono alla prostituzione minorile.
La definizione di questi reati non è certo di epoca recente. Rappresenta infatti il punto di arrivo di lunghi percorsi di presa di coscienza da parte di uno Stato che si vuole liberare di ogni forma di sfruttamento, corruzione, concussione. Ogni passo che compiamo, come nazione, nel riconoscere legittime le lamentele del Premier ed il suo sentirsi offeso, rappresenta un ritorno ad un passato di cui veramente non abbiamo bisogno e da cui vogliamo ben guardarci.
Flavia Cerino