Libertà performativa

L’esercizio della libertà non conosce riposo

Dice Remi Brague – per alcuni uno dei maggiori filosofi viventi –, che molti giovani oggi vivono la libertà come fosse uno di quei taxi che esistono in tanti Paesi: quando si avvicinano, mostrano una ben visibile insegna con la scritta “libero”. Un taxi libero, quindi, è un taxi vuoto. “Libero” risulta essere sinonimo di “vuoto”. Il taxi vuoto, inoltre, non va da nessuna parte in concreto, infatti è al comando di qualcuno, del cliente di turno.

Mi sembra che questa “parabola” contemporanea sia molto suggestiva e adatta non solo per i giovani ma per tutti: spesso, troppo spesso purtroppo, viviamo la libertà che ci è consegnata e consentita come esseri umani (il più bel dono che abbiamo ricevuto in dote dall’esistenza) con un senso di vacuità spaventoso, come se non sapessimo cosa farne. Perché l’essere umano sembra non essere all’altezza della libertà che intrinsecamente lo informa (lo riveste) e lo performa (gli dà forma)?

Forse in questo sta il nocciolo del problema. La libertà ci informa (ci riveste) ma non sempre ci performa (ci dà forma)… mentre lo dovrebbe fare. Anche se non siamo del tutto liberi perché la nostra libertà è sempre qualcosa di situato e condizionato, non possiamo negare che una piccola parte di libertà, quella sufficiente per essere persona, si muove nel profondo e più intimo di noi. La coscienza è il segnale più eloquente di ciò. Ogni volta che una persona agisce in coscienza, mostra la sua libertà, al di là di tutti i condizionamenti.

La libertà, dunque, ci informa (ci riveste), ma non sempre ci performa (ci dà forma). Per essere veramente liberi, bisogna mettere in gioco adeguatamente la libertà, altrimenti col tempo può divenire insignificante nella nostra vita. Una libertà non performativa rischia di non informarci più.

Lo vedo in me stesso. Mi costa molto essere libero. Ogni giorno devo lottare contro le mie predisposizioni psicofisiche per guadagnarmi un grammo di libertà; ogni giorno fatico a vincere la paura, l’orgoglio, la vanità, la gelosia, la rigidità mentale e quant’altro per veder fiorire quella piccola parte. L’altro giorno sono andato ad aiutare nella distribuzione di un pasto ai senzatetto che vivono nelle vicinanze di piazza San Pietro. In tutti ravvisavo una sconvolgente dignità; in non pochi, però, la piccola parte di libertà era annientata, probabilmente non per colpa loro.

L’ecosistema della libertà sono i rapporti personali. È questo il contesto paradigmatico dove si esprime la libertà o la non libertà. L’esercizio della libertà passa dagli interstizi delle relazioni, con i suoi conflitti, fallimenti, successi. E qui io ho trovato una “formula”: quando riesco ad accusare me stesso per primo, infallibilmente mi sento libero.

Eppure, l’esercizio della libertà non conosce riposo. È come la danza (parole del grande Nureyev): se la lasci un giorno, lei ti lascia due.

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