Libertà, fraternità e diversità: la rivoluzione di Francesco
“Le persone omosessuali hanno il diritto di essere in una famiglia”, le parole di papa Francesco le aspettavo (insperate) da anni. Pronunciate così, da un padre ispirato da un amore che si estende a tutti. Il mio primo pensiero è andato ai ragazzi e alle ragazze, a quelli che hanno trovato le parole per dire al mondo la propria omosessualità e a quelli che ancora non le hanno trovate. A quelli che in famiglia hanno ricevuto rifiuti e talvolta vere e proprie persecuzioni. Alle famiglie, anche le più vicine alle esperienze cattoliche, che spesso non si sono sentite accolte e capite quando uno dei loro figli ha avviato una relazione con una persona dello stesso genere. Famiglie che spesso hanno sofferto più del giudizio dei benpensanti che delle scelte dei loro figli. Quanta inutile sofferenza produce il nostro giudicare le vite degli altri.
Il mio pensiero è anche andato a Maurizio, incantevole vicino di casa, morto di cancro la scorsa settimana. Si sarebbe certamente fatto una sonora e compiaciuta risata, sentendo la notizia dai telegiornali nazionali. Ha lasciato solo Giorgio, il suo compagno di una vita. Si erano uniti con patto civile qualche anno fa, approfittando tra i primi della legge sulle unioni civili approvata in Italia. Un atto pubblico che non aveva fatto altro che suggellare il sentimento e la storia di trenta anni insieme. E che ha consentito a Giorgio di accompagnarlo fino alle ultime ore di vita. Quando penso all’amore tra due persone, penso a loro. A quella dedizione, a quella scanzonata e irriverente confidenza, che chiamiamo amore. Il mio pensiero è andato anche ai tanti amici preti e consacrati che ancora tengono nascosta sotto chiave la loro più intima natura.
“Le persone omosessuali – dice papa Francesco – hanno il diritto di essere in una famiglia. Sono figli di Dio e hanno diritto a una famiglia. Nessuno dovrebbe essere estromesso o reso infelice per questo”. Sono parole capaci di spostare in avanti le lancette della storia di qualche secolo e di tramutare un sentimento popolare fatto di polverose e sedimentate ansie collettive. Ho riguardato decine di volte il brano del documentario in uscita in questi giorni per la Festa di Roma, firmato da Evgeny Afineevsky e girato già lo scorso anno, da cui quelle parole sono tratte.
Non mi appassionano affatto le riflessioni su fin dove si è spinto il papa con le sue parole e dove invece lo hanno condotto con sapienti tagli e accostamenti di frasi i curatori del filmato. Lascio ad altri l’esegesi del video e le controversie interpretative. Una cosa mi pare assolutamente evidente e inconfutabile: papa Francesco parla con una tenerezza che la Chiesa non aveva mai mostrato prima nei suoi rappresentanti più in vista. Parla il linguaggio dell’amore, come da uomo che fuori dai percorsi già tracciati ha incontrato umanità e sapienza.
Francesco parla nella sua lingua madre, parla senza imbarazzi né pruderie, da uomo risolto, da papa “arrivato dall’altra parte del mondo”, che sa bene che quello che sta dicendo non ha nulla di nuovo, né di rivoluzionario. Ogni persona ha diritto a una famiglia, ha diritto a vivere amando riamata da chi ama. E poi ha diritto ad essere protetta da leggi che prevedano tutele, garanzie, diritti.
Il mio pensiero va ai bambini e alle bambine che forse cresceranno in un mondo dove tutto questo sarà finalmente normale e ci saremo tutti dimenticati cosa fosse la Chiesa prima di queste parole.
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