Libertà di informare e di essere informati
In una democrazia compiuta la libertà di informazione e di espressione è la garanzia di un sistema politico equo e libero, dove tutto quello che accade può essere riportato ai cittadini, titolari ultimi della sovranità.
Il mio ex direttore, Ferruccio De Bortoli, quando cercava di invitarci a far bene il nostro mestiere, unendo alla professionalità, etica e senso di responsabilità, ci diceva sempre, riprendendo una nota frase anglosassone: “Dobbiamo essere il cane da guardia della democrazia”. Il cane da guardia della democrazia.
Un cane da guardia è sempre lì. Attento. Pronto. Zelante a curare che nessuno varchi quel determinato cancello. Che nessuno entri in una casa senza permesso, approfittando magari della assenza dei padroni. Il cane da guardia attende, con le orecchie dritte, il naso al vento. E’ paziente, fedele. E non si muove dal suo posto. Non si stanca di aspettare il ritorno del padrone sulla soglia di casa, come fosse la cosa più importante del mondo. Se c’è bisogno abbaia. Abbaia forte per farsi sentire. E può arrivare anche a mordere per difendere il suo padrone.
Ora se è vero, come si dice, che gli unici padroni dei giornalisti sono i lettori – quindi in ultima analisi i cittadini – capite bene che importanza può avere fare il mestiere del giornalista con questa tensione etica. Una tensione a non nascondere ma anzi a clarificare, rendere chiaro, trasparente ciò che spesso, sia nelle dittature, ma anche nei sistemi democratici come il nostro, in modo più sottile e subdolo a volte, magari cambiando punto di vista o mettendo in cattiva luce l’oppositore, il potente di turno vuol far passare la sua verità come quella assoluta.
La libertà di stampa è libertà di informare ma è anche e soprattutto libertà di criticare, di far conoscere le verità, soprattutto quelle scomode, quelle che possono creare problemi a chi esercita il potere (per conto terzi, ovvero dei cittadini, non dimentichiamolo). Cosa non sempre facile da attuare nella realtà quotidiana per gli operatori dell’informazione. In questo piccolo passaggio sta la differenza tra un sistema veramente democratico e uno democratico a parole. Badate, la libertà di stampa non è una questione che riguarda solo i paesi in guerra, quelli dove si muore per fare questo mestiere, ma è anche qualcosa che tocca da vicino tutti noi, anche nella nostra Italia dilaniata da 20 anni di politica vissuta come contrapposizione, come demonizzazione dell’avversario, più che come impegno a costruire qualcosa, in definitiva, nell’interesse della collettività.
Lo scorso anno in Italia, ad esempio, si è tanto discusso della necessità o meno di porre un limite alla possibilità dei giudici di utilizzare le intercettazioni ai fini delle loro indagini e della stampa di poterle pubblicare. Una parte del paese era a favore. L’altra contraria. Il giornalista è certo tenuto al rispetto del codice deontologico proprio della sua professione, ma limitare la possibilità di informare è un rischio per la democrazia, proprio per la funzione sociale insita nell’informazione. Senza intercettazioni, non avremmo saputo niente del bunga bunga, delle sedicenti nipoti di Mubarak, in quello scandalo che ha ridicolizzato a mo’ di farsa il nostro sistema politico, nelle sue istituzioni più alte, svelando le sue miserie. Senza i documenti trafugati dal cosiddetto scandalo Vatileaks, probabilmente non sarebbero venute mai alla luce le trame di potere dei palazzi Vaticani che poco c’entrano con il messaggio evangelico.
Come ha scritto il costituzionalista Vladimiro Zagrebelsky, a proposito dell’uso delle intercettazioni e della pubblicazione di documenti riservati sui media: “L’argomento che si usa è legato al diritto, anch’esso fondamentale, che le persone hanno al rispetto della propria reputazione e alla riservatezza della vita privata. L’occasione contingente della presente, acuta sensibilità rispetto a questo diritto delle persone spinge spesso ad assimilare il potente di turno a ciascuno di noi. Egli infatti dice: difendo la mia vita privata, ma lo faccio perché la nostra, di noi tutti, è in pericolo”.
Ma il politico non è uguale a noi, non è un cittadino comune. E’ stato eletto per rappresentare il suo elettorato, per servire e non per servirsi del potere che gli e’ stato attribuito.
Ancora Zagrebelsky: “Chi fosse impressionato dall’argomento, dovrebbe considerare che non siamo tutti eguali e che meritano di essere conosciuti e commentati anche aspetti della cosiddetta vita privata dell’uomo politico, proprio perché egli si è candidato e si candiderà a essere eletto dai cittadini. Egli non «fa i fatti suoi», ma si occupa «dei fatti nostri» e si è esposto volontariamente all’esame del pubblico”.
Libertà di informare e di informarsi quindi. Nel 2013, e siamo solo a maggio, hanno perso la vita mentre facevano il loro lavoro 20 giornalisti, 174 sono stati imprigionati e sequestrati. Tra questi c’e’ anche Domenico Quirico, inviato del quotidiano La Stampa scomparso da una ventina di giorni in Siria. Un pensiero a ciascuno di loro.
In definitiva, l’augurio migliore per chi fa il giornalista o lavora nel mondo dei media in questa giornata dove si celebra la libertà di stampa è che non si diventi come certi cani da guardia addomesticati. Che non si meravigliano più, assuefatti dal brusio delle news in tempo reale. E, più grave questo, che non abbaiano più.
Per tutti gli altri, per i lettori, per i cittadini, in questa epoca di iper connessione compulsiva in cui si è sempre aggiornati ma nel rumore della macchina mediatica non sempre informati, l’augurio è quello riuscire ogni tanto a staccare la connessione e approfondire, sforzarsi di andare in profondità sugli avvenimenti, grandi e piccoli, dal palazzo, dal quartiere fino alla nazione, per sviluppare senso critico, una propria idea e, in definitiva, per un maggiore sentimento di impegno civile, di cittadinanza attiva, per tutto quello che c’è oltre il nostro naso, fuori dalla nostra porta. Nessuno ci sia indifferente.