Libertà cercasi

È fuggendo dalla propria terra o ritornandovi che ci si può sentire liberi? La domanda è sottesa a due film di prossima uscita, uno coreano e l'altro palestinese, nazioni le cui vicende sono di estrema attualità.

Il regista sudcoreano Kim Ki-duk presenta Il prigioniero coreano, un lavoro già visto a Venezia e a Toronto nel 2016. Nam è un semplice e onesto pescatore nordcoreano. Mentre lavora sul fiume che divide i due Stati, la barca si rompe, la corrente lo porta al Sud, dove viene intercettato dalla polizia e trasportato in carcere a Seoul. Seguono interrogatori sfibranti ad opera di un poliziotto fanaticamente anticomunista per convincerlo a dichiararsi una spia, ma l’uomo è integro, vuole solo tornare dalla famiglia che per lui è il primo valore.

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Difficile credergli, anche se un giovane poliziotto lo difende dalle brutalità degli interrogatori. Nam viene lusingato a rimanere, a farsi una nuova famiglia, a collaborare, lo si lascia libero per la capitale “corrotta” che lui non vorrebbe vedere. Invece, dovrà aprire gli occhi e capire che la libertà – come gli dice una ragazza costretta a prostituirsi – è solo per chi nasce ricco. Poveri allora si è dovunque, riflette l’uomo e la libertà del Sud non è migliore e possibile più di quella del Nord.  Rimpatriato e accolto come un eroe, Nam infatti subirà altri dolorosi interrogatori, finché, sfinito, torna in famiglia. Ma non è più l’uomo di prima: ora ha capito che la libertà è un prezzo che si paga di persona, dovunque ci si trovi a vivere.

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Il film, che si snoda come un thriller dell’anima è un inno alla purezza dei sentimenti di cui sono ricchi sia Nam che il giovane poliziotto di Seoul, persone pulite in un mondo – Nord o Sud non importa – corrotto nell’anima, perché dove «è più grande la luce, più grande l’ombra» e la differenza tra capitalismo e comunismo non è poi così vasta, se il risultato è l’identica privazione della libertà. Nam appare con la sua limpidezza forte come una figura cristologica, vittima innocente della sua integrità, per la quale soffre un vera “persecuzione”. Ma il suo sguardo fermo e pulito, simile a quello della figlia bambina, sa essere deciso a recuperare la vera libertà, quella interiore, anche rischiando la vita. Sarà forse questa la speranza per l’uomo, pare dire il regista  in un dramma dalle sfumature psicologiche costanti e da uno sguardo disincantato sulla difficoltà dei due popoli a tornare a vivere insieme. Da non perdere. Esce il 12 aprile.

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La regista palestinese Annemarie Jacir presenta Wajib Invito al matrimonio, un lavoro pluripremiato a Dubai, Londra, Locarno. Abu Shadi, 65 anni, professore stimato, vive e lavora a Nazareth. Lasciato dalla moglie che vive in America, ha cresciuto da solo i due figli, Shadi, architetto trasferitosi in Italia e la figlia Amal, che ora si deve sposare. Shadi è tornato per il matrimonio e deve aiutare il padre nell’invito personale ai parenti ed amici, il cosiddetto Wajib.  I giri in auto dei due, che non si rivedono da tempo, sono l’occasione per un confronto aperto, anche duro, tra padre e figlio, tra generazioni diverse, e mentalità opposte. Shadi è un giovane artista, convive, non vuole sposarsi, appartiene all’Olp, è entusiasta dell’Italia, veste casual. Il padre, provato dalla solitudine, non lo capisce,vorrebbe si sposasse, vestisse normalmente, accettasse la mentalità provinciale e chiusa della cittadina,  la situazione politica senza protestare, in una località da cui i giovani stanno fuggendo. La “guerra” fa da inevitabile sfondo alla vita dei due e l’occhio della regista non elude lo stato di tensione che accompagna in un crescendo il film sino allo scontro verbale tra padre e figlio, dove scoppiano rancori, dolori irrisolti, l’assenza-presenza della madre e l’innocenza della figlia. Chi è davvero libero? Il vecchio tradizionalista o il figlio europeizzato? Ed è giusto lasciare la terra d’origine, lottare da lontano o lottare rimanendovi? Padre e figlio alla fine se lo dovranno chiedere e rispettare le reciproche scelte. Un gioiello psicologico da non perdere. Esce il 19 aprile.

 

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