Libertà anzitutto
«Una fotografia all’inizio è bianca poi io ci metto i colori, le luci, le ombre. In una fotografia c’è disegno, pittura e scultura». Così ha detto l'artista Nidaa Badwan in una conferenza stampa al comune di Montecatini e a San Marino, due luoghi che vedono esposte le sue meravigliose fotografie che hanno fatto il giro del mondo.
L’artista palestinese, 27 anni, che ha vissuto a Deir Al-Balah, nel Sud della Striscia di Gaza, è balzata all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale un anno fa quando alcuni dei maggiori quotidiani europei e americani (tra i quali il New York Times) si sono occupati delle opere da lei realizzate all’interno del progetto artistico “Cento giorni di solitudine”. Una serie di autoritratti che l’artista ha scattato con la propria macchina fotografica dentro una piccola e colorata stanza da letto, dove la giovane si è rinchiusa volontariamente per oltre 14 mesi, a partire dal novembre del 2013.
Alla fine del 2013, mentre si trovava con dei suoi amici, viene fermata dalla polizia di Hamas, perché non veste come la tradizione islamica, perché si trova con uomini e perché dice loro di essere un’artista. Rilasciata, decide allora di isolarsi dalle restrizioni religiose e dalla guerra perenne rinchiudendosi nella sua stanza di tre metri per tre e facendo di quella stanza un mondo, un laboratorio, un’uscita di sicurezza in cui far crescere la propria arte. Un’artista senza libertà non può rappresentare l’arte.
Un esilio volontario dalla propria comunità vissuto allo scopo di denunciare la condizione di isolamento e di mancanza di libertà che caratterizzano la vita quotidiana della popolazione, in particolare di quella femminile. Ma l'esilio non è stato solo questo perché, come sottolinea l'artista, «ho avuto molto tempo per arricchirmi leggendo tante cose. Studiavo, facevo ricerche sulla luce per le mie fotografie. Per alcune ho aspettato anche dei giorni finché la luce che filtrava dalla finestra fosse quella giusta per dare all’immagine i giusti contorni e il giusto significato che le volevo attribuire».
Nel suo isolamento ha approfondito quindi gli studi sul colore e sulla luce, scoprendo nel colore il senso della sua vita: ha studiato l’inclinazione dei raggi del sole che entravano dalla piccola apertura e le sfumature che producevano sulle superfici della stanza, trasformando la percezione dei colori di ora in ora.
Le foto della giovane artista sono più simili a pitture: un tripudio di colori con chiaroscuri e giochi di luce. Attività comuni, come bere un caffè, lavorare alla macchina da cucire o sbucciare cipolle, diventano, nell’artificiale mondo creato dalla giovane artista di Gaza, momenti di intimità e solitudine ai quali lo spettatore viene invitato a far parte. Nella imprevedibilità della situazione nella quale si trova a vivere, Nidaa riproduce quindi banali attività quotidiane trasformandole in momenti unici, sospendendo il tempo e svincolando gli scatti dalle contingenze della realtà esterna.
Nel comune di Montecatini è riprodotta la sua stanza di tre metri per tre con le pareti colorate di blu e di verde, con la scala e le stoffe colorate rese famose dalla sua foto apparsa sulla prima pagina del New York Times il 27 febbraio 2015 .
Qualcuno ha sottolineato che i suoi scatti hanno una luce pittorica, fiamminga; non c’è traccia infatti di sofferenza. Quiete e bellezza la fanno da padrone. Anche il direttore della galleria d'arte di Gerusalemme, dove all'inizio del 2015 i suoi autoscatti sono stati esposti, ha detto che evocavano i maestri olandesi del 16° e 17° secolo.
«Sono autoscatti in cui il volto si riconosce appena, ma sembrano quadri e non fotografie. I colori, il calore, suscitano emozioni, sensazioni forti, ricordano le nature morte di Chardin, i chiaroscuri di Caravaggio, le scene teatralizzate di David», scrive un giornalista di San Marino, e continua sottolineando che l'artista «crea scatti studiati in ogni dettaglio, per trasmettere un messaggio che ognuno può leggere in base alla sua sensibilità. Ogni inquadratura è da scoprire nei colori, nella luce, negli sguardi, nella composizione, nei simboli richiamati, nei significati reconditi… Ogni scatto è un’opera d’arte, una poesia!».
Dopo Montecatini l’artista esporrà anche in Danimarca, al Trapholt museum of modern art, ma ci sono già contatti con altri importanti musei italiani e stranieri.