Liberati

È da poco passata la mezzanotte quando i migranti lasciano la nave. Scendono piano, uno alla volta, i volti segnati dalla fatica di questi giorni, dalle tensioni, per alcuni anche dagli stenti e dalla malattia. Intanto vengono iscritti sul registro degli indagati il ministro dell’Interno, Matteo Salvini e il capo di gabinetto.

La svolta è arrivata nella serata di sabato 25 agosto. Le agenzie battono la notizia: il procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, che sta conducendo l’indagine sulle vicende della nave Diciotti, ha iscritto nel registro degli indagati due persone: un ministro ed un capo di gabinetto. Per tutti è chiaro che il ministro è lui: Matteo Salvini, l’uomo che ha tenuto banco nel tormentone di quest’estate che, in pochi giorni ha spostato l’asse dell’attenzione da Genova e da quel tragico crollo al profondo sud, alla città di Catania dove, per decisione del ministro dei Trasporti, Danilo Toninelli, la nave è attraccata.

Il divieto di sbarco è durato sei giorni, ma per quel divieto pare non esista alcun atto formale .Il procuratore Luigi Patronaggio, che ha aperto l’inchiesta sulla vicenda, dopo l’ispezione al porto di Catania, si è recato a Roma per interrogare i funzionari del Viminale, proprio su questo: ha chiesto gli atti, ha domandato chi ha deciso che 177 persone, a bordo di una nave militare italiana (e quindi già, per legge, formalmente “in territorio italiano”) rimanessero recluse a bordo, senza possibilità di scendere. Lo stop è stato annunciato da Matteo Salvini, ma non vi sarebbe stata nessuna ordinanza formale che, peraltro, sarebbe di competenza non del ministro degli Interni, ma del ministro dei Trasporti, Danilo Toninelli.

Il Codice di Navigazione (articolo 62 e seguenti) affida espressamente al ministro dei Trasporti ed alle autorità portuali (Capitaneria di Porto) le competenze sulle procedure di sbarco e imbarco. Fonti del ministero fanno sapere che lo stesso ha fatto tutta la sua parte, il ministro Toninelli ha individuato il porto in cui la nave poteva attraccare e la nave e’ regolarmente attraccata. Con l’attracco si sarebbe conclusa la competenza del ministero dei Trasporti e la palla sarebbe passata al ministero degli Interni. «Il resto – affermano – le procedure di sbarco ed altro, sono di competenza del ministero dell’Interno.  Le procedure che si svolgono a terra rispondono alle disposizioni del Viminale. Il provvedimento che ha disposto il mancato sbarco è del ministero dell’Interno». E confermano che «il ministro dei Trasporti non ha mai emesso nessuna ordinanza che vieta lo sbarco».

Il ministro Danilo Toninelli non commenta e, nella giornata di sabato, affida solo ad un tweet mattutino il suo pensiero. «Orgoglioso ogni giorno di più della professionalità dimostrata dalla @guardiacostiera. Nessuno può dare lezioni all’Italia per lo sforzo umanitario. Il Governo sta solo chiedendo alla Ue di dare un senso alla propria esistenza, rispettando quanto scritto dopo vertice fine giugno».

Già, la Guardia Costiera! Per giorni nell’occhio del ciclone per il salvataggio avvenuto in acque maltesi. Dal ministero dei Trasporti spiegano che l’operato della Guardia Costiera è stato ineccepibile e che il salvataggio in mare è un loro dovere precipuo. «La Guardia Costiera che ha salvato i naufraghi ed il personale della Diciotti – spiegano – hanno svolto egregiamente il loro compito. Il salvataggio è avvenuto in acque maltesi ma al confine con le acque italiane, poiché si era vicini a Lampedusa e la barca dei naufraghi si stava dirigendo anch’essa verso Lampedusa. I due mezzi della Guardia Costiera hanno soccorso il natante in difficoltà ed hanno tratto in salvo i naufraghi. Poi li hanno trasferiti sulla nave Diciotti, che non è mai uscita dalle acque territoriali italiane ed il trasbordo è avvenuto lì».

 

Nelle ultime ore la situazione si era fatta sempre più pesante, la tensione si tagliava a fette… La polemica politica cresceva. Da più parti si premeva per una soluzione positiva del caso. Numerosi gli interventi, che abbiamo seguito sui vari organi di stampa. Le associazioni umanitarie hanno presidiato il porto e le manifestazioni si sono succedute. Qualcuno ha cercato anche di forzare il blocco e di gettarsi in acqua, per andare verso la nave. Nei giorni precedenti, ci sono state anche delle manifestazioni di segno opposto, organizzate da gruppi che, invece, sostengono la linea dura del governo. E sulla nave i migranti, stanchi, chiedevano che si ponga fine all’odissea e cercavano azioni eclatanti, come lo sciopero della fame.

Papa Francesco chiedeva una «soluzione che esige saggezza ed umanità» ed i vescovi siciliani affidavano a monsignor Antonio Staglianò, vescovo di Noto e delegato della Conferenza Episcopale siciliana per le migrazioni, la posizione della chiesa isolana. Monsignor Staglianò proponeva azioni concrete, ben oltre le prese di posizione ed i documenti ufficiali. C’è la «necessità di passare dalla riflessione ai fatti, meno proclami, pur importanti per risvegliare le coscienze, e più azioni fattive per liberare questi nostri fratelli. Dopo le belle riflessioni, occorre subito mobilitarsi: magari salendo sulla ‘Diciotti’ e fare con loro lo sciopero della fame? O qualche altra iniziativa di solidarietà che manifesti il volto popolare di una Chiesa impegnata fattivamente su questo problema».

L’Italia non ha ottenuto a Bruxelles ciò che aveva chiesto. Gli altri Paesi dell’Unione hanno opposto un “niet” alle richieste del nostro governo. La “linea dura” non ha pagato. Salvini è ormai all’angolo, ma la sua posizione e le sue scelte continuano a mietere consensi nel Paese.

Le ultime ore sono state convulse. Dapprima la decisione che diciassette migranti potevano lasciare la nave. Una decisione assunta, stavolta, dalle autorità mediche. Le donne sarebbero state violentate in Libia. I medici hanno accertato le violenze subite e ne hanno chiesto il trasferimento in una struttura ospedaliera. Tra gli uomini, cinque hanno la scabbia, uno ha un’infezione, altri hanno la tubercolosi o la polmonite. In precedenza, il 22 agosto, erano scesi 27 minori.

Poi la decisione di Patronaggio e, dopo la mezzanotte, lo sbarco. Quegli uomini e quelle donne lasciano la nave dove sono rimasti dieci giorni, dove hanno dormito a terra, su dei teli o dei cartoni. Vengono trasferiti all’hotspot di Messina. La Chiesa Italiana si occuperà di cento persone, venti andranno in Albania, venti in Irlanda. Per loro, l’odissea continua con le procedure che decideranno, per loro, chi avrà diritto di rimanere in Italia e chi, invece, dovrà lasciare il Paese, perché non ha i requisiti richiesti.

Per il nostro Paese resta una vicenda giudiziaria aperta e gli strascichi giudiziari che andranno avanti ancora per mesi. Per ciò che riguarda Salvini, gli atti della Procura di Agrigento dovranno essere trasmessi al Tribunale dei ministri che ha una sede in ogni Corte d’Appello (nel caso di Agrigento è Palermo). Poi, se l’indagine andrà avanti, dovranno essere trasmessi alla giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato. E la vicenda promette di trasformarsi, ancora una volta, in uno scontro politico ad oltranza. Per l’altro indagato (o per gli altri indagati se altri nomi dovessero aggiungersi) procederà la Procura di Agrigento. E le due inchieste, che andranno avanti parallelamente, si “guarderanno” a vicenda, con risvolti inevitabili. Perché l’unica vicenda viaggerà sui binari di due procedimenti giudiziari paralleli e diversificati.

Sarà ancora una prova dura per il Paese. Una dura prova per la democrazia e per la tenuta culturale e per la sua coesione sociale.

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