Liberi dalla trappola dell’odio, una voce da Betlemme
Siamo ormai a Natale e la Terra Santa vive da quasi ottant’anni la guerra sia all’interno dei suoi confini sia con i Paesi vicini. Un odio profondo e tanta paura alimentati da una cultura della vendetta senza fine.
Ma nella Cisgiordania, tra Hebron e Betlemme, dove è nato, in povertà, Gesù, esiste una famiglia che cerca incessantemente di fronteggiare l’odio con l’amore verso il prossimo. È la storia della famiglia Nassar e della sua fattoria “Tent of Nations”, tenda delle nazioni, che si trova nella zona sottoposta al controllo israeliano. La famiglia ha subìto in questi anni diversi tentativi falliti di esproprio dei terreni, che sono di proprietà della loro famiglia sin dal 1916. Ma la loro grande fattoria, che sorge su una collina, negli anni è stata circondata dai coloni israeliani che vogliono espandersi. L’attività, nonostante le intimidazioni, i divieti imposti dalle autorità israeliane, il blocco con grandi massi della strada di accesso ai terreni ed il divieto di rimuoverli, è andata avanti nella legalità con un atteggiamento sintetizzato dal loro motto di resistenza nonviolenta:”ci rifiutiamo di essere nemici”.
Daoud Nassar, attuale proprietario della fattoria, accoglie ogni anno molti ospiti internazionali per lavori temporanei che arricchiscono di esperienza la sua famiglia e gli altri lavoratori, portando conoscenze ed esperienze nuove e permettendo di resistere alle pressioni governative e dei coloni. La presenza di stranieri, infatti, costituisce un freno ai tentativi reiterati di sottrarre la collina ai legittimi proprietari.
Questa esperienza di vita e di lavoro è stata raccontata da Daoud nel tour che si è tenuto recentemente in Italia, organizzato da “Tent of Nations Italia”, che ha permesso alla famiglia Nassar di incontrare molte persone nel nostro bel Paese. La tappa finale a Roma è stata l’occasione dell’incontro personale, il 27 novembre, con papa Francesco, a margine dell’udienza generale. Il percorso si è concluso il primo dicembre nella chiesa di Sant’ Ignazio di Loyola dei gesuiti a Roma.
In questa occasione abbiamo incontrato Daoud e la sua famiglia, insieme a Laura Munaro, referente italiana di “Tent of Nations”, ed abbiamo rivolto loro alcune domande:
Oggi, dopo tanti decenni di guerra in Palestina, dopo la strage terroristica di Hamas del 7 ottobre 2023 ed i massacri compiuti dall’esercito israeliano, cosa significa “lavorare per continuare a essere portatori di pace” in Palestina?
Daoud Nassar: è un periodo molto duro per noi e siamo sopraffatti dalla situazione difficile e dalla sofferenza che le persone attraversano quotidianamente; è dura vivere questa situazione e continuare a sperare nella pace e nella giustizia. Ma è molto importante per noi affermare che se non portiamo questa pace nel nostro cuore, non possiamo donarla alle altre persone. Sei benedetto come operatore di pace se stai costruendo la pace. In questa situazione difficile abbiamo bisogno di fermarci per portare la calma nei nostri cuori, per concentrarci su questa visione positiva. Questa è la sfida in cui ci troviamo adesso ed è molto molto difficile, ma dobbiamo mantenerci su questo piccolo filo di speranza e concentrarci sulla visione positiva delle cose.
Cosa vi spinge a resistere soprattutto negli ultimi anni che hanno visto crescere la pressione con l’avvicinarsi dei coloni alla vostra fattoria?
Daoud Nassar: Dico sempre che la violenza e la guerra non sono la risposta, perché alla fine delle sofferenze patite, comunque le persone dovranno trovarsi attorno ad un tavolo per cercare quelle soluzioni politiche per uscirne. Ma perché non evitare tutto questo, tutta la distruzione, tutte le sofferenze, tutte le uccisioni, per un nuovo inizio? Noi non possiamo sconfiggere il male con più male, l’odio con più odio, l’oscurità con più oscurità. Quindi dobbiamo fare il contrario, dobbiamo cambiare la prospettiva, chiedendo all’altro di vedere diversamente, trasformando il negativo in positivo. Questo è ciò che stiamo cercando di praticare alla “Tent of Nations” con tutte le difficoltà che ci circondano, come i blocchi stradali. Penso che la sofferenza non sia la fine della storia. Continuiamo a crederci per riuscire ad attraversare la situazione che stiamo vivendo e sperare di raggiungere la giustizia. Speriamo di ottenerla, ma per ora facciamo la nostra parte. Penso sempre che quando Gesù chiese ai suoi discepoli di lavorare come operatori di pace non si aspettava che la mattina dopo avessero una soluzione per realizzarla. Ora dobbiamo creare pace nei nostri cuori e pace tra le persone e noi siamo chiamati a lavorare sul campo per coltivare la terra e piantare i semi della speranza. Questo è ciò che sentiamo, questa è la nostra responsabilità. Il clima politico è molto difficile, sembra forse impossibile costruire la pace, ma comunque abbiamo la responsabilità di rimanere come testimoni e lavorare per la pace e la giustizia.
Come fate a vivere in questo modo? E che reazioni ci sono da parte degli altri palestinesi a voi vicini che vivono le stesse condizioni?
Daoud Nassar: Diciamo che in una situazione in cui le persone vivono in circostanze difficili, possono avere tre reazioni. La prima è una risposta violenta alla violenza. Una reazione umana, perché per difendermi reagirò negativamente. Ma con la violenza, le persone otterranno più violenza. La seconda risposta è sedersi ed aspettare che accada qualcosa, ma noi non vogliamo sederci e aspettare perché non vogliamo essere rappresentati come vittime. La mentalità della vittima è pericolosa. L’ultima reazione è quella di scappare, andarsene. Alcuni potrebbero dire “beh, non posso gestire la situazione” e “non possiamo vivere così”, quindi perché non andarcene? Poi ci siamo noi che, da cristiani, vogliamo restare e testimoniare che c’è un’altra strada attraverso la resistenza non violenta, una resistenza pacifica e positiva. Infatti, noi rimaniamo in fattoria. So bene che ci sono molte difficoltà, ma le affrontiamo quotidianamente. Subiamo le provocazioni, distruzioni, tagli di alberi, minacce, ma reagiamo rimanendo lì e continuando lungo la nostra strada. Agendo in questo modo siamo la speranza per i nostri vicini palestinesi, che iniziano a credere che questo sia il modo giusto per combattere l’odio con la fermezza dell’amore.
Quali sono i prossimi passi dopo il tour in Italia?
Daoud Nassar: Per noi era molto importante essere qui, inoltre il momento più importante è stato incontrare il papa; è stata un’esperienza meravigliosa per noi e una benedizione. Torneremo in Terra Santa entusiasti e carichi per continuare il viaggio per costruire la pace nella giustizia, sicuri di non essere soli nella nostra lotta. Molte persone pregano per noi o ci sostengono e vengono a trovarci e stanno con noi. E poi direi che abbiamo molto lavoro nella fattoria. La mia coscienza di cosa abbiamo fatto è cresciuta nelle ultime due settimane e ora inizieremo a prepararci per la stagione, a preparare la terra, i nostri alberi, i nostri ulivi. Questo è il segno di come mettiamo in pratica la nostra speranza. Cerchiamo di guardare avanti e di investire la nostra frustrazione progettando come curare la nostra fattoria. Crediamo nel futuro e manteniamo viva la speranza.
Com’è la vita in fattoria per una giovane?
Risponde Shadin (figlia di Daoud): è davvero unico vivere in Palestina da giovani e non bisogna solo concentrarsi sugli aspetti negativi. Sono stata abbastanza fortunata a crescere in una famiglia che è attaccata alla terra. Crescere in una fattoria come la nostra ti fa davvero uscire dalla trappola dell’odio e ti fa fare qualcosa di positivo con le tue mani come coltivare, piantare alberi, lavorare con i bambini e incontrare persone di tutto il mondo ogni giorno, quindi ti dà un rinnovato senso di speranza per un futuro migliore e non importa quanto sia difficile la situazione, possiamo sempre ricavarne qualcosa di positivo.
Come si fa a vivere così ogni giorno nella vostra fattoria?
Risponde Jihan (moglie di Daoud): Non è così difficile perché la fede cristiana ci permette di trovare sempre canali per essere più forti, affrontando i nostri problemi quotidiani e sfidando le difficoltà. Mi piace molto la vita in fattoria perché sei davvero a stretto contatto con la natura, vicino al suolo e alla terra. Essere un membro di questa famiglia significa credere insieme che un giorno ci sarà giustizia e che ci rafforzeremo a vicenda stando insieme, pregando insieme, incontrando anche persone da ogni parte del mondo. Vedere che le persone sono con te, credono nel tuo progetto, venendo a lavorare in fattoria, è davvero un dono e devo dire che siamo davvero fortunati ad avere ospiti internazionali che vengono e credono nel nostro progetto.
Chiediamo ora a Laura Munaro, referente in Italia di Tent of Nations: cosa vi ha spinto a promuovere questa serie di incontri nel nostro Paese?
Sono 14 anni che vivo quest’esperienza ed è da un anno che stavo provando ad organizzare un tour per far conoscere direttamente questa realtà. Daoud doveva venire in Italia esattamente un anno ma quello che è successo il 7 ottobre ci ha costretto a rimandare. Il tour serve per dare voce a Daoud ed alla sua positiva esperienza in fattoria, esperienza che non ha accesso ai media tradizionali e online, dove si parla solo di conflitto. Quindi era decisamente ora di parlare dell’esperienza di Daoud Nassar.
Come nasce il tuo incontro con l’esperienza di Daoud e della sua fattoria “Tent of Nations” e come si è sviluppato?
Io ho iniziato personalmente a fare questa esperienza di volontariato andando ogni anno in fattoria. Facevo lavori agrari semplici, ma questa esperienza non mi bastava. Daoud mi ha semplicemente suggerito di approfondire liberamente cosa fare una volta tornata in Italia. Da questo bisogno è nato il progetto “Tent of Nations Italia”, rimanendo in stretta connessione con la fattoria e concordando tutto con Daoud. Io ho tre obiettivi. Il primo è dare voce a Daoud con una newsletter che ad oggi raggiunge quasi 1.900 persone, curare il sito tentofnations.it, la pagina Facebook e la pagina Instagram. Questo perché è necessario parlare per dar voce alla speranza di chi parla dal basso, da dietro le sbarre di un muro e a ridosso di insediamenti di coloni illegali. Ma serve anche per spronare, per seminare punti di vista diversi. Per mandare avanti una fattoria precaria come la loro ci vogliono soldi. Quindi tramite una Onlus locale raccolgo fondi per agevolare la vita in fattoria e svilupparla. Questo è il mio secondo obiettivo. Il terzo è agevolare i volontari che vanno là perché è vero che Daoud chiede aiuto sempre legalmente, ma dove abita lui la legge non è uguale per tutti e io ho visto con i miei occhi che la presenza internazionale è un deterrente alle intimidazioni dei coloni e delle autorità militari israeliane. Quando ci sono i volontari internazionali i coloni ed i militari evitano di disturbare. Ecco, se posso dilungarmi un attimo, è incredibile la tipologia di persone che mi chiama per andare a fare volontariato da loro. Prevalentemente giovani studenti universitari ma mi hanno chiamato anche coppie di fidanzati, che volevano fare un’esperienza prima del matrimonio in fattoria come volontari, e anche pensionati.
Quali saranno i prossimi passi della tenda delle nazioni, sia della fattoria, sia dei sostenitori italiani?
Dopo questo tour stilerò un report per dare un ordine agli incontri che abbiamo fatto, dal Vaticano al congresso nazionale delle Acli, da un gruppo di associazione di volontari internazionali fino all’incontro presso la chiesa di Sant’Ignazio a Roma. Il prossimo progetto da finanziare che abbiamo in cantiere è il frantoio per la fattoria. Oltre a cercare di garantire un flusso di volontari continuo per sostenere e proteggere la fattoria “Tent of Nations”.
Ulteriori informazioni in lingua italiana sulla fattoria si possono trovare su https://www.tentofnations.it/
(grazie per la traduzione a Claudia Melli)