Liberi dalla schiavitù della competizione
Nel pensare comune si è imposta una visione del mercato improntata alla solitudine competitiva. Si può tornare a scoprire la natura che lo contraddistingueva alle origini e che nella cooperazione aveva uno dei pilastri fondanti? Ciò comporta il rovesciamento di categorie di pensiero e di modalità di azione che incidono profondamente sulla vita e la carne delle persone. Abbiamo rivolto alcune domande a Francesca Daldegan, ricercatrice dell’Università di Losanna, in Svizzera, e curatrice, per l’editrice Vita e Pensiero, della riedizione delle Delle Lezioni di Commercio ossia di Economia Civile di Antonio Genovesi con i commenti di alcuni economisti italiani: Zamagni, Bruni e Porta.
Il pensiero economico di cui Genovesi è portatore viene descritto come un fiume carsico. Quali sono i punti che attualmente emergono? Sono tali, a suo giudizio, da tracimare e inondare, oppure sono così marginali che spariranno a conclusione di questo anno di celebrazioni a lui dedicato?
«I valori e le immagini proprie della tradizione dell’economia civile stanno riemergendo nelle riflessioni e nelle esperienze economiche che oggi tentano di immaginare un’altra economia nella quale la distinzione, la libertà e l’indipendenza possano non tradursi in separazione dall’altro. Sono le esperienze nelle quali si ripone l’uomo costruttore di relazioni improntate alla reciprocità e alla mutua assistenza al centro dell’attività economica, scommettendo sul fatto che la creazione di ricchezza reale e di felicità sia l’esito di relazioni di apertura e di accoglienza dell’altro e non di assoluta indipendenza. Esiste un punto critico oltre al quale la relazione orizzontale impersonale e mediata, come quella di un certo concetto di mercato, diviene separazione e la separazione, come insegnava Aristotele, è all’origine della schiavitù, anche di quella moderna di un uomo prigioniero dei propri bisogni e di nuovi obblighi».
In concreto come si manifesta questa nuova forma di schiavitù?
«Ad esempio il caso di chi deve lavorare dodici ore il giorno in una grande azienda senza possibilità di ritagliare il tempo per famiglia, amici, vita comune, o, al contrario, di chi non può lavorare affatto perché disoccupato. Anche il lavoro dello storico se, come scriveva Baczko, la storia è la ricerca del nascosto, può svolgere un ruolo nel rendere questa emersione duratura, riscoprendo quelle correnti dimenticate, perse o percepite come minori ma che avevano colto peculiarità e dinamiche importanti di quel grande mare che, nella bella immagine offerta da Magatti, è la vita della società. L’importanza di coltivare immagini buone dei funzionamenti sociali è un fattore del quale già Genovesi si rendeva conto; solo immaginando, infatti, una vita diversa essa cambierà davvero. Come scriveva Genovesi nella sua Logica: “La natura umana è immutabile ma non immodificabile. Ella dunque si modifica per l’educazione o per la continuata disciplina; ma non si può avere una buona disciplina, senza delle vere e buone teorie”».