Liberare i bambini dalla povertà educativa
Lunedì 14 settembre, Save the Children, che fa parte dell’ Alleanza contro la povertà promossa da Acli e Caritas, ha presentato, a Roma, il rapporto “Illuminiamo il futuro 2030 – Obiettivi per liberare i bambini dalla Povertà Educativa”. I numeri italiani, proprio nel giorno di apertura del nuovo anno scolastico, dovrebbero far riflettere: quasi il 25 per cento dei quindicenni è sotto la soglia minima di competenze in matematica e quasi 1 su 5 in lettura. Una percentuale che aumenta sensibilmente fra gli adolescenti che vivono in famiglie con un basso livello socio-economico e culturale.
Ma cosa è Save The Children? È noto suo logo ma pochi sapranno della sua presenza in Italia fin dagli anni inizi, negli anni Venti, al tempo in cui papa Benedetto XV nell'enciclica "Annus iam Plenus" citò questa organizzazione, da sempre laica e aconfessionale, lodandola per l’impegno a favore dei bambini.
Abbiamo intervistato Arianna Saulini che è stata invitata ad intervenire a Loppiano Lab nella mattina del 26 settembre sul tema dell’impegno sociale nelle periferie esistenziali.
Quale è l’origine del vostro impegno?
«Save the Children è stata fondata nel 1919 da Eglantyne Jebb, colpita dalle terribili condizioni di vita dei minori in Europa dopo la prima guerra mondiale. La Jebb fu in grado di anticipare il concetto, rivoluzionario per l'epoca, che anche i bambini fossero titolari di diritti, e cominciò un'opera audace nelle sue rivendicazioni nei confronti delle istituzioni».
E oggi?
«Oggi, a 90 anni dalla sua fondazione, Save the Children è una grande e importante organizzazione internazionale indipendente per la difesa dei diritti dei bambini, e opera in oltre 120 Paesi al mondo con uno staff di circa 14 mila persone. La nostra missione, in Italia come nel resto del mondo, è assicurare ad ogni bambino il rispetto dei suoi diritti – quello alla salute, alla nutrizione, al cibo, ad una dimora, all'educazione – e proteggerli da ogni tipo di violenza, abuso e sfruttamento, ascoltare i minori, coinvolgerli in ogni decisione che li riguarda e impegnarsi affinché il loro punto di vista sia preso in considerazione».
Dove si annidano i maggiori problemi?
«A 25 anni dalla firma della storica Convenzione Onu sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, 1 milione di bambini vive in aree in conflitto, 650 milioni sono in povertà estrema e 57 milioni non vanno a scuola. Guardando all’Italia, nascono 50 mila bambini in meno rispetto a 25 anni fa e il 13,8 per cento dei minori vive in povertà assoluta. A causa del deteriorarsi della situazione internazionale, i flussi migratori in arrivo alla frontiera sud dell’Italia si sono intensificati drammaticamente, come testimoniato dalla cronaca di queste settimane. Dal 2008 Save the Children è impegnata in prima linea a proteggere i minori stranieri non accompagnati in fuga da paesi in crisi o in conflitto».
Cosa vi sostiene al di là di essere definiti come genericamente un ente benefico?
«A darci la spinta, anzi il “mandato” a fare sempre di più e meglio sono i 332 mila donatori individuali e 46 partner aziendali di Save the Children in Italia, che ci hanno consentito di aumentare i fondi destinati ai programmi, attraverso i quali abbiamo sostenuto 37 progetti nel nostro Paese e 145 nel mondo. La fiducia verso Save the Children, pur in un periodo critico per il nostro Paese, dimostra che tante persone hanno voglia di impegnarsi per un cambiamento reale e noi siamo orgogliosi di poter tradurre questo generoso slancio in benefici concreti per milioni di bambini».
Leggendo al vostra storia si scopre una presenza concreta in Italia sin dagli anni Venti subito dopo la fondazione. Che sguardo si può dare del nostro Paese? In un vostro ultimo rapporto documentate la tratta dei minori come un fenomeno particolarmente presente nelle nostre città: quali interventi, anche culturali, sono necessari per rispondere a tale situazione?
«Al di là dei numeri, secondo le informazioni raccolte da Save the Children dagli operatori del settore, dai rappresentanti istituzionali e dagli stessi minori sul territorio nazionale nell’ambito dei progetti realizzati dall’Organizzazione, le violazioni dei diritti e le violenze di ogni tipo subite da bambini e adolescenti vittime o a rischio di tratta e sfruttamento anche in Italia sono gravi e impressionanti. Come nel caso delle molte ragazze tra i 16 e i 17 anni originarie dei paesi dell’Est, trasferite o attirate in Italia per essere sfruttate sessualmente, o, in altri casi, coinvolte in attività illegali o rese vittime di matrimoni precoci nei quali devono ripagare ai suoceri il prezzo sostenuto per il loro “acquisto” dalla famiglia di origine (prevalentemente delle comunità rom). Per le minori nigeriane, che partono dal loro Paese con la promessa di un lavoro che non si avvererà mai, lo sfruttamento sessuale inizia invece già nei Paesi di transito in Europa o in Libia, per trasformarsi in una prigione dalla quale è difficilissimo uscire una volta giunte in Italia e inserite sotto ricatto nel circuito della prostituzione».