Libano: ci sarà una mediazione dell’Italia?
Aeroporto internazionale Rafic Hariri, Beirut, domenica 7 gennaio 2024 alle 17: sui pannelli elettronici scompaiono orari e voli e compare una scritta in arabo: «In nome del Signore e del popolo, l’aeroporto internazionale di Beirut non è l’aeroporto di Hezbollah o dell’Iran. Hassan Nasrallah, nessuno ti difenderà se il Libano verrà trascinato in una guerra di cui ti assumerai la responsabilità e le conseguenze. Hezbollah, non entreremo in guerra in nome di altri». Questo uno stralcio del messaggio, così come è riportato dal quotidiano libanese L’Orient-Le jour dell’8 gennaio scorso, che era firmato con i loghi di due gruppi di area cristiana estremista: il primo, Saheb el Kalam (Ho la parola), è da qualche tempo attivo sui social ma non si sa a chi sia riconducibile; il secondo, Jnoud al-Rab (Soldati del Signore), è di più recente costituzione e un po’ più conosciuto. Salvo che in un video diffuso poco dopo su Facebook, Jnoud Al-Rab ha smentito ogni suo coinvolgimento nell’atto di pirateria informatica dell’aeroporto, mentre Saheb el Kalam non si è fatto vivo.
Ho citato questo episodio per offrire almeno un’idea della complessità nella situazione del Libano di questi ultimi anni. Si tratta solo di un episodio che si inserisce in un quadro conflittuale ampio, ramificato e inquietante, che emerge dalle condizioni in cui è sprofondato il Paese sotto i colpi di antichi contrasti mai affrontati e di una crisi economica pesantissima, in cui una classe politica obsoleta e arroccata nei suoi privilegi è implosa di fronte alle sfide dell’implacabile scontro di poteri che attraversa l’intera regione, e di cui la guerra di Gaza è come la punta emersa di un grande iceberg. In Europa, in qualche modo abbiamo dato credito alla visione del Libano spacciata dal governo israeliano, secondo la quale il concetto è in sintesi che “Libano uguale Hezbollah, cioè Iran: il nemico, il male da estirpare”. Un male, in questa “prospettiva”, che include tutti i palestinesi, Hamas ed Hezbollah. Il partito-milizia filo-iraniano entra a pieno titolo nel mucchio portandosi dietro, per così dire, tutto il Libano. Che in Libano ci siano oltre a sciiti (certo non tutti membri di Hezbollah) anche sunniti, drusi, cristiani ed altri (più del 65% i non sciiti complessivi) sembra contare ben poco.
Ma torniamo al piccolo Libano dove la situazione sociale è così complicata. Senza la pretesa di uno spiegone impossibile in poche righe, ci vogliono alcune premesse sulla situazione interna per cogliere il pericolo del conflitto con Israele (e dell’ennesima invasione) sempre sul punto di esplodere e già più volte esploso in passato.
Lo Stato libanese è senza presidente della Repubblica da ottobre 2022. C’è un governo ma solo per gli affari correnti, perché da tempo dimissionario. La crisi finanziaria ha colpito l’economia reale generando una crisi sociale: oltre l’80% della popolazione vive oggi sotto la soglia di povertà, il costo della vita è insostenibile per molti, i servizi di base sono più che collassati, disoccupazione e inflazione sono alle stelle. Il cambio lira libanese-dollaro è oggi in un rapporto di 90 mila a uno, ovviamente al mercato nero, anche perché le banche rimaste sono diventate realtà piuttosto fatiscenti. L’elettricità non c’è e i generatori privati sono solo per chi se li può permettere. La maggior parte dei medici (e molti professionisti in genere) sono emigrati all’estero e mantengono con le loro rimesse i familiari rimasti in patria. Anche le scuole sono in affanno e lo stipendio medio di un insegnante è sotto i 100 dollari al mese.
Un altro annoso capitolo, in Libano, sono i rifugiati: i più antichi sono i palestinesi, che sono almeno 300 mila e vivono da apolidi in 12 campi. A questi profughi palestinesi “storici”, dal 2012 si sono aggiunti altri palestinesi che erano rifugiati in Siria, più 2 milioni di siriani fuggiti dalla guerra.
In un Paese dove i cittadini libanesi non arrivano probabilmente a 4 milioni, avere 2,4-2,5 milioni di rifugiati è molto pesante, e non solo per motivi economici. Ma non è finita qui: «Entro il 2038 – scrive Fady Noun su asianews.it del 16 gennaio scorso –, i libanesi rappresenteranno solo il 52% della popolazione, secondo un recente studio sulla situazione demografica del Paese dei cedri e sulla sua probabile evoluzione, pubblicato su L’Orient-Le Jour l’11 gennaio scorso». Di questo passo i libanesi verranno presto espropriati del loro Paese.
Forse adesso è un po’ più chiaro cosa può comportare un attacco israeliano a questo Libano: una catastrofe che va ben oltre la questione della presenza di Hezbollah.
Agli statunitensi, insieme ai francesi, è venuta un’idea “geniale”: coinvolgere l’Italia (presente in Libano da anni con una forza di pacekeeping di circa mille soldati) in una improbabile opera di mediazione fra Israele e Hezbollah per scongiurare gli attacchi al Libano e dal Libano. L’inviato speciale della Casa Bianca Amos Hochstein ha fatto tappa a Roma a metà gennaio e si è recato a Palazzo Chigi dove è stato ricevuto da Giorgia Meloni. Il piano che verrebbe affidato all’Italia prevede di allargare la cosiddetta Linea Blu, la demarcazione del confine fra Libano e Israele, chiedendo alle milizie di Hezbollah un passo indietro di 7 chilometri dal fiume Litani, mentre gli israeliani chiederebbero che sia di almeno 30 chilometri.
Sarebbe come dire: a tutti i problemi che già si sono accumulati, senza mai affrontarli, se ne aggiungerebbe un altro. La premier italiana ha dato la disponibilità dell’Italia, ma per ora non è successo nulla per quanto è dato sapere.
__