Lezioni di leggerezza
Nel 25° anniversario della morte di Italo Calvino, uno dei narratori italiani più importanti del Novecento.
Un funambolo della letteratura. Che gioca con le parole come un acrobata che s’esibisce sulla corda, sospesa in alto nel circo. Lui sa che la parola può essere peso o leggerezza. E sceglie la leggerezza. «Dopo quarant’anni che scrivo fiction – ammetteva Italo Calvino –, dopo aver esplorato varie strade e compiuto esperimenti diversi, è venuta l’ora che io cerchi una definizione complessiva per il mio lavoro; proporrei questa: la mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio».
Nelle Lezioni Americane propone la leggerezza come il primo dei sei valori da lui ritenuti vitali per la letteratura del nuovo millennio. Sceglie di togliere al linguaggio gli elementi di peso, di spessore e di concretezza della materia. Fa un esempio basato sulla tecnologia dominata dal software: «Le macchine di ferro ci sono sempre, ma obbediscono ai bit senza peso». E la sua narrazione vuole diventare, appunto, software, bit impalpabili, che muovono i pesanti meccanismi della cultura e delle coscienze. Cerca di essere “leggerezza” quando scrive di tutto: dalla letteratura a sfondo sociale, politico e intellettuale, alle fiabe. Pur aderendo a varie avanguardie letterarie, vuole sempre farsi comprendere dal lettore. È attratto dalla letteratura popolare, dall’invenzione fantastica, dalle sorprendenti e misteriose combinazioni d’un mazzo di tarocchi.
La sua vita? Ci scoraggia lui stesso dal raccontarla. Dice a chi lo intervista: «Sono ancora di quelli che credono, con Croce, che di un autore contano solo le opere (quando contano, naturalmente). Perciò dati biografici non ne dò, o li dò falsi, o comunque cerco sempre di cambiarli da una volta all’altra. Mi chieda pure quel che vuol sapere, e glielo dirò. Ma non le dirò mai la verità, di questo può star sicura». Come potremo quindi dirla noi? Scegliamo allora anche noi la leggerezza, per cogliere qualcosa di lui.
La leggerezza del mare, che tiene a galla i corpi dei bagnanti e anche le navi possenti. Il mare accompagna la vita di Calvino. Accanto al mare egli nasce, nell’isola di Cuba, in un bungalow immerso nel lussureggiante giardino botanico tropicale diretto dai suoi genitori, agronomo lui e botanica lei. Due scienziati di spirito aperto, entusiasticamente dediti alle attività di ricerca scientifica. Un po’ fra l’anarchico e il socialista, anticonvenzionali e senza una fede religiosa. In quella famiglia spensierata e amorevole, Italo cresce accanto al mare.
Dopo Cuba quello di Sanremo. Viene il fascismo. Che dapprima lo sfiora appena. Poi Calvino matura la sua scelta politica. Diventa partigiano nelle Brigate Garibaldi. Combatte e scrive col suo ardore: «Avevamo vent’anni oltre il ponte / oltre il ponte che è in mano nemica / vedevamo l’altra riva, la vita / tutto il bene del mondo oltre il ponte / tutto il male avevamo di fronte / tutto il bene avevamo nel cuore / a vent’anni la vita è oltre il ponte / oltre il fuoco comincia l’amore».
Le sue idee di giustizia sociale lo spingono a entrare nel Pci. Ma lo spirito libertario, ereditato dai genitori, lo pone sempre in atteggiamento critico verso i vertici del partito e alcune loro scelte. Quando l’Armata Rossa invade l’Ungheria, decide di lasciare il partito. Accanto al mare poi, proprio a Cuba, sposa l’argentina Esther Judith Singer, chiamata Chiquita, che resterà la sua compagna della vita. Con lei sceglie di vivere a Roccamare. E lì all’età di 62 anni è colto da ictus. Muore poco dopo.
La sua tomba, circondata da una folta siepe di rosmarino, che spande nel camposanto un penetrante e intenso aroma, s’affaccia come una silenziosa terrazza, ancora una volta su quel mare che sempre lo ha accompagnato. Lì vengono in tanti. Alcuni lasciano qualcosa, un sassolino, un biglietto, un fiore. Per ringraziarlo di quello che ha lasciato. Della leggerezza della sua letteratura.
Inferno
«L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».
(da Le città invisibili)
«La vita d’una persona consiste in un insieme d’avvenimenti di cui l’ultimo potrebbe anche cambiare il senso di tutto l’insieme, non perché conti di più dei precedenti, ma perché inclusi in una vita gli avvenimenti si dispongono in un ordine che non è cronologico, ma risponde a un’architettura interna».
(da Palomar)