Lev e Sof’ja
Tolstoj: una vita intensa, segnata dalla svolta spirituale e dal tormentato rapporto con la moglie.
Un cumulo di terra coperto dall’erba, senza una croce, senza un nome, nell’ombra della foresta di Jasnaja Poljana. Lì, nella sua vasta tenuta di campagna, fu sepolto nel 1910 lo scrittore russo Lev Tolstoj, autore di Guerra e Pace e altri capolavori immortali. Un cumulo di terra: sigillo del desiderio di semplicità evangelica che aveva animato l’ultima fase della sua vita, anche se in modo convulso. Per la sua sepoltura aveva indicato lui stesso quel luogo: lì suo fratello maggiore, Nikolaj, aveva interrato un bastoncino verde dicendo che chi l’avesse scoperto avrebbe potuto rendere felici tutti gli uomini. L’odio, la guerra, le malattie, i dolori, sarebbero scomparsi dalla faccia della terra. Quel bastoncino verde, emblema delle speranze dell’umanità, è anche simbolo dell’ultimo periodo della vita dello scrittore.
Tolstoj, dopo i cinquant’anni, dopo la celebrità raggiunta coi grandi romanzi, sprofondò in una crisi acuta. Sua moglie Sof’ja annotava: «Si avvertiva in lui una svolta, un’aspirazione a una vita diversa, più semplice, più spirituale». In quella crisi Lev scoprì il Vangelo, rimase abbagliato dal Discorso della montagna: «Beati voi…». Scoprì la grandezza d’una religione vissuta in umiltà e semplicità, accanto al popolo. Il suo spirito passionale lo portò a estremizzare: dichiarò guerra a tutto ciò che non era evangelico secondo la sua visione fervorosa ma anarchica, altamente morale ma carica d’energia distruttiva; diventò rigorosamente vegetariano, provocatoriamente antimoderno. Lui, aristocratico, un principe, iniziò a vestire come i contadini; esaltò il valore della castità e sconfessò i vizi che si celano nei matrimoni. Desiderò vivere in assoluta povertà; scoprì il pacifismo.
La sua visione del cristianesimo era cristallina, ma allo stesso tempo aggressiva, vigorosamente polemica. Il Sinodo della Chiesa ortodossa russa lo scomunicò. Intanto Jasnaja Poljana diventò meta di pellegrinaggi da tutte le parti del mondo. Anche il giovane Gandhi, affascinato dalle sue idee, scrisse: «Mentre attraversavo una grave crisi di scetticismo e di dubbio, incappai nel libro di Tolstoj Il Regno di Dio è dentro di voi, e ne fui profondamente colpito. A quel tempo credevo nella violenza. La lettura del libro mi guarì dallo scetticismo e fece di me un fermo credente nella non violenza».
Di pari passo con la svolta spirituale, nella vita di Tolstoj ebbe inizio un periodo di vero inferno familiare. Sua moglie Sof’ja aveva sedici anni meno di lui e quando s’erano sposati, dopo una sola settimana di fidanzamento, lei aveva diciotto anni appena. Entrambi erano di temperamento caldo, appassionato; entrambi erano animati da imperiosi ideali di purezza, amore per la verità, sentimenti nobili.
Dopo la crisi spirituale di Lev, e per i trent’anni successivi, la loro vita fu tormentata. Sof’ja vedeva nell’ardore apostolico di Lev un modo per punirla: «Non è altro che un modo egoistico di far sapere al mondo quanto sei insoddisfatto della tua famiglia», gli rimproverava. Lui la giudicava una donna dalle vedute borghesi, attaccata a valori mondani; la chiamava la «pietra al collo» che gl’impediva di dedicarsi totalmente alla causa evangelica.
Litigi furibondi, silenzi angoscianti, minacce di fughe e di suicidi. A loro modo continuavano a volersi bene: si amavano di notte e si torturavano di giorno. Nelle contraddittorie visioni cristiane del marito lei vedeva un pericolo per la famiglia: il desiderio di Lev di disfarsi dei beni materiali per vivere nella povertà, era infatti unito all’incapacità pratica di pensare agli altri, soggiogato com’era dalla totalizzante necessità di scrivere. Sof’ja annotava nella sua autobiografia: «Non potevo, con nove figli, restare in balia, come una banderuola, dei mutevoli orientamenti spirituali di mio marito».
Ma tra lei e suo marito s’infilò l’amico del cuore di lui, Certkov. Animato da eccelsi propositi, fece come fanno tanti “amici del cuore” che s’arrogano il diritto di prendere le parti dell’amico, di difenderlo unilateralmente a spada tratta, e di legiferare in affari che dovrebbero rimanere di pertinenza degli interessati. Egli alimentò il fuoco del dissidio familiare, convinto com’era di proteggere la santità del suo maestro contro l’ottusità della moglie. Sof’ja reagì malissimo a quelle manovre: continue crisi di nervi la portarono all’esaurimento. Fuggì di casa, ma i figli la ripresero alla stazione. Sul comodino aveva lasciato una lettera con la quale salutava velenosamente il coniuge: «Stammi bene e sii felice nel tuo amore “cristiano” per Certkov e tutta l’umanità, con la sola eccezione di tua moglie».
In quegli anni Tolstoj scrisse Sonata a Kreutzer, un’analisi spietata del matrimonio: ad esso contrapponeva la castità cristiana come superamento della passione carnale, anche nella forma del rapporto coniugale. Il breve romanzo suscitò enorme scalpore. Il protagonista, uxoricida per gelosia, spiega: «Eravamo come due ergastolani legati ad una stessa catena, che si odiano reciprocamente, si avvelenano la vita, ma fanno di tutto per ignorarlo».
Sof’ja rispose al libro del marito con un suo romanzo, Amore colpevole, nel quale anch’essa tratta un uxoricidio. La protagonista dà sfogo ai suoi pensieri: «Possibile che sia tutta qui la nostra vocazione femminile? Mettere il proprio corpo a disposizione di un neonato e poi di un marito? Per sempre! Ma dov’è finita la “mia” vita? Dov’è finito il mio io? Quell’io autentico che una volta aspirava a servire Dio e i propri ideali? Stanca, sfinita, soccombo. Non ho una vita mia, né terrena né spirituale. Eppure Dio mi ha dato tutto: salute, forza, doti… e persino felicità. Perché dunque mi sento così infelice?». Due romanzi, su due sponde diverse, che invece di fare a pugni, sottolineano la visione convergente di Lev e di Sof’ja. L’imperioso desiderio di purezza.
Poi, ultraottantenne, esasperato dai dissidi familiari e mal consigliato da Certkov, Tolstoj decise di fare il grande passo e di lasciare tutto. S’allontanò da casa: dopo un paio di settimane però, in una piccola stazione ferroviaria, venne colpito da polmonite ed entrò in agonia. Alla moglie, corsa al suo capezzale, gli amici proibirono d’avvicinarsi al marito.
Vengono in mente mille matrimoni sfortunati, mille matrimoni, all’apparenza decenti, che nascondono meccanismi ben più perversi dei litigi dei coniugi Tolstoj. Vengono alla mente rapporti traballanti, rovinati dal solerte intervento di “amici del cuore” che spesso riversano sul presunto amico le loro frustrazioni e aspirazioni fallite. Ma non riusciremo mai a sapere cosa là, su quel cumulo di terra nel bosco di Jasnaja Poljana, si sono detti i due, dopo che la morte ha placato le discordie. Lev col suo silenzio, che dalle stelle perforava come luce il fogliame della foresta; Sof’ja con le sue lacrime, probabilmente di rimorso. Sicuramente un dialogo tra due colossi, accanto a quel bastoncino verde sepolto nella terra.