L’Europa in trincea, una proposta di pace
L’Italia continuerà a inviare armi in Ucraina, come promesso nella recente visita di Mario Draghi a Kiev assieme al presidente francese Macron e al cancelliere tedesco Scholz, in linea con la strategia della Nato che sarà consolidata e confermata nell’incontro programmato da tempo tra i Paesi dell’Alleanza dal prossimo 28 giugno a Madrid.
La maggioranza che sostiene l’esecutivo di salvezza nazionale, che va da Leu alla Lega, troverà probabilmente una formula di compromesso per restare assieme senza spaccature da parte del M5S fedele a Giuseppe Conte in coabitazione con il ministro deli Esteri Luigi Di Maio, ormai ad un passo dalla rotta definitiva con il suo partito.
Il nodo politico riguarda, in sostanza, il possibile ruolo dell’Italia, e quindi dell’Europa, distinto e autonomo da quello Nato. Una alterità di posizione che cozza contro quella espressa più volte con fermezza da Mario Draghi, e consacrata nel suo viaggio negli Usa, che coniuga strettamente europeismo e atlantismo davanti ad un conflitto, scatenato dall’invasione russa dell’Ucraina, che si conferma di lungo termine e aperto ad ogni eventuale escalation, cioè ad espandersi in maniera incontrollata. «Siamo la generazione che deve preparare l’esercito a combattere ancora una volta in Europa» ha affermato con il consueto realismo britannico, il nuovo capo delle forze armate del Regno Unito, Patrick Sanders.
Rientra perciò tra le ipotesi da prevedere, la risposta da offrire come Paese nei confronti del verificarsi di un casus belli destinato a coinvolgere direttamente il nostro esercito.
Di fronte a questi scenari esiste davvero uno scollamento tra società civile e forze politiche sulla questione della guerra in Ucraina come affermano alcune realtà del mondo associativo? Ma oltre a dire “No” quale proposta alternativa viene offerta?
Risponde a questa domanda l’appello lanciato, dalla rappresentanza in Italia del Parlamento europeo, il 20 giugno da un insieme originale e composito di soggetti che vede schierato in prima fila il direttore di Avvenire Marco Tarquinio assieme a Rete italiana pace e disarmo(Ripd), Arci, Associazione nazionale dei partigiani (Anpi) e il Movimento europeo.
Secondo Tarquinio, siamo dentro «uno scenario che sta trasformando il nostro continente in una trincea di guerra. Una guerra che qualcuno vorrebbe diventasse tra mondi diversi. L’antidoto sta in un movimento popolare, alternativo a posizioni populiste ma anche belliciste».
Franco Uda dell’Arci, che è tra l’altro una delle componenti di Ripd, invita a considerare la società civile come un attore pubblico in grado di mettere in campo fin dall’inizio del conflitto «iniziative di informazione, mobilitazioni, e missioni umanitarie». Si tratta ora di «fare un ulteriore passo di responsabilità consegnando alle istituzioni dei Paesi fondatori dell’UE una proposta di pace per l’Europa, perché riprenda il suo ruolo di mediazione per la composizione negoziale del conflitto, non subalterno a grandi potenze o alleanze militari».
Nella conferenza stampa di presentazione, il presidente dell’Anpi Gianfraco Pagliarulo ha messo in evidenza le dichiarazioni di papa Francesco come criterio da seguire in campo politico e diplomatico per evitare l’irreparabile mentre Pier Virgilio Dastoli, presidente del Consiglio italiano del Movimento europeo, ha rimesso al centro il senso dell’articolo 11 della Costituzione che è, invero, al centro di tante e diverse interpretazioni in questi giorni successivi al 24 febbraio, giorno dell’invasione dell’Ucraina da parte delle forze armate russe. L’appello inizia con la citazione integrale di questo articolo della Costituzione per prendere poi atto che «la drammatica accelerazione di un conflitto atroce può portare a un tragico scontro bellico mondiale».
Il nocciolo politico dell’appello afferma che «l’Unione Europea deve immediatamente operare con una sola voce, con la spinta concorde del Parlamento Europeo e della Commissione, diventando un affidabile intermediatore e non delegando solo agli Stati Uniti d’America e alla NATO decisioni che riguardano in primo luogo l’Europa».
L’appello entra poi nel dettaglio chiedendo che «l‘Unione Europea ed il nostro governo agiscano nell’ambito dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con una decisa azione nei confronti del Consiglio di Sicurezza per l’invio di forze di interposizione (“peace-keeping”) sotto la bandiera delle Nazioni Unite, per garantire il rispetto del cessate il fuoco, facendo della protezione dei civili la loro priorità».
Seguendo questa logica di azione autonoma e non subalterna si invita l’Unione Europea ad attivare «un sistema europeo di sicurezza comune e interdipendente, una vera e propria Unione della Difesa e della Sicurezza a due “braccia”, una militare non aggressiva e l’altra civile nonviolenta» con «reti di difesa civile non armata e politiche comuni di cooperazione internazionale allo sviluppo sostenibile».
Il tutto con riferimento allo spirito del trattato di cooperazione nel continente europeo stipulato ad Helsinki nel 1975 e citato, lo scorso aprile, dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo intervento all’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa.
Il testo rappresenta una piattaforma politica che non sembra trovare ascolto nel governo oltre che in larga parte del parlamento, come dimostra il fatto che l’Italia, al contrario ad esempio della Germania, ha deciso di non partecipare, neanche come osservatore, all’assemblea di Vienna che in questi giorni vede radunati i Paesi aderenti al trattato di messa al bando delle armi nucleari. Cioè di quelle armi di distruzione di massa abbondantemente presenti nel continente europeo secondo una logica di un equilibrio del terrore che si rivela sempre più precario.
Anche se è rivolto ad azioni da porre in atto immediatamente, il testo presentato da Tarquinio e gli altri costituisce una piattaforma programmatica di politica estera su cui misurarsi in veste delle prossime decisive elezioni politiche.