L’Europa scende in campo sulla questione marò

Catherine Ashton, rappresentante dell'Unione europea per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, ha dichiarato che accusare i due italiani in base alla legge anti-terrorismo significherebbe considerare l'Italia un Paese terrorista. L'India sembra ora rischiare conseguenze a livello internazionale
Catherine Ashton

Mentre continuano i rinvii, parte del normale andamento della giustizia indiana, la vicenda dei marò si sposta, a due anni di distanza dall’uccisione dei pescatori, sullo scacchiere della diplomazia europea. Una dichiarazione di Catherine Ashton ha, infatti, bollato l’atteggiamento indiano nei confronti dell’Italia come inaccettabile. Che due marines italiani siano accusati secondo la legge anti-terrorismo «significa che l’Italia sarebbe vista come un Paese terrorista e questo è inaccettabile», ha detto l’Alto rappresentante dell'Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza. Sembra che, dopo ventiquattro mesi di tira e molla bilaterali fra governo italiano e governo di New Delhi, la questione abbia assunto contorni più internazionali. Tutto il caso «non è solo profondamente inquietante per il governo italiano, ma anche davvero allarmante per tutti i governi dell’Unione europea e l’ho detto durante il Consiglio esteri di ieri», ha dichiarato la Ashton nel corso dell'audizione della Commissione affari esteri, in risposta all’eurodeputato italiano Antonio Panzeri (Pd).

A questo punto è l’India che deve valutare l’opportunità a meno di esercitare una certa pressione sugli organi della sua magistratura. Infatti, un atteggiamento di irrigidimento da parte di New Delhi potrebbe avere conseguenze negative sui rapporti del Paese asiatico con gli Stati dell’Unione europea. La Ashton è stata chiara: «Se verrà presa la decisione che quanto successo nell’azione dei marò durante una missione anti-pirateria è un atto di terrorismo, sottintende che l’Italia è uno Stato terrorista, ci saranno gravi implicazioni per tutte le azioni nell’anti-terrorismo laddove noi collaboriamo insieme (come Ue) o come Paesi individuali».

«Questo messaggio è stato mandato vivo e chiaro stamattina tramite la nostra delegazione», ha ulteriormente chiarito la euro-rappresentante, capo della diplomazia europea. Il ministro degli Esteri italiano, Emma Bonino, ha riconosciuto l’atteggiamento approssimativo, «garibaldino» ha dichiarato, del suo Paese nell’affrontare il caso e non ha risparmiato della stessa critica gli organi competenti dell’India. Ha, inoltre, ammesso che una commissione d’inchiesta, formata opportunamente e nei tempi dovuti, potrebbe permettere di mettere a punto strumenti per «tutelarci da possibili avventure con Paesi terzi. Applicando il massimo rigore nella scrittura delle leggi, con procedure e linee di comando chiare».

La patata bollente, ora, è anche nel campo indiano. Il Paese, alla vigilia delle elezioni politiche, deve saper valutare come e se far uso del caso dei marines indiani per la sua politica interna o se evitare pericolose conseguenze a livello internazionale.

D’altra parte, nelle stesse ore l’agenzia AsiaNews ha  pubblicato un'interessante intervista ad una fonte locale che non ha avuto timore di dichiarare, ovviamente sotto condizione di anonimato, che «la vicenda dei marò italiani non si risolverà prima delle elezioni generali indiane». La fonte ha riconosciuto che «il caso sta seguendo i tempi normali, né troppo veloce, né troppo lento. Se fosse già stato chiuso, ci sarebbero state reazioni più emotive, e qualunque verdetto sarebbe stato giudicato come sbrigativo. Ma è una cosa da risolvere, e così sarà».

Come abbiamo avuto modo di sottolineare nel nostro precedente articolo, «i tempi sono nella norma del meccanismo giudiziario indiano, tenendo poi conto che ci sono in gioco relazioni internazionali». Ha, inoltre, chiarito che nel Paese asiatico «non c'è alcun dibattito sul caso. Passato il momento più emotivo, alimentato da tanta retorica e da questioni di orgoglio nazionale, non ci sono grandi reazioni. Le notizie che riguardano la vicenda non occupano le prime pagine, né vengono discusse. Anche la notizia che non verrà chiesta la pena di morte, ma un massimo di 10 anni, non ha suscitato alcuno sdegno».

La vicenda, quindi, assume ora contorni ben più complessi e si tratta di vedere se l’entrata in gioco dell’Europa contribuirà alla soluzione del caso o se, al contrario, l’India avrà il coraggio di continuare per la propria strada, incurante delle conseguenze per la sua immagine internazionale e per i rapporti con i Paesi europei.

Una domanda nasce spontanea: perché non si è tentata questa strada prima che trascorressero due anni dall’atto sotto accusa? Senza dubbio qualcosa non ha funzionato nella diplomazia italiana o forse, semplicemente, come accennato in altre occasioni, il peso dell'Italia non era tale da garantire una copertura europea. Una cosa è certa: la partita ha ormai lasciato il mare del Kerala nel Sud-India, dove le famiglie dei pescatori morti hanno dichiarato di non volere né vendetta né ritorsioni. La posta in gioco, ormai, purtroppo è ben più alta e lontana dalle loro case. Sorge un’altra domanda: che tipo di giustizia è?

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