L’Europa, la Turchia e i profughi siriani

Dopo le elezioni amministrative perse ad Ankara e Istanbul, segno di un cambiamento d’umore dell’elettorato, Erdogan ha capito che il problema dei profughi siriani è centrale. E così rivede la politica del loro trattenimento entro i suoi confini. Che succederà ora?

 

C’è una notizia che non compare sui grandi media europei, quasi del tutto ignorata. Eppure drammaticamente importante per l’Europa. Il 22 luglio scorso il ministro degli Esteri turco, Mevlut Çavusoglu, ha annunciato, sul canale televisivo turco Tgrt Haber Tv, la prossima sospensione dell’accordo sulle migrazioni stipulato con l’Ue nel giugno 2016. L’accordo che verrebbe sospeso è quello da 6 miliardi di euro che ha bloccato in Turchia il fiume dei 100 mila profughi siriani (ma anche afghani, iraqeni, curdi, pakistani e bengalesi) che nell’estate 2015 attraverso i Balcani raggiunse soprattutto la Germania e i Paesi del Nord-Europa. Con quei 3 miliardi di Euro l’anno promessi (e solo in parte versati) alla Turchia, l’Ue ha ottenuto due precari risultati: il primo è stato quello di mettere un argine temporaneo ad un flusso che rischiava di diventare inarrestabile, riducendolo ad un piccolo ruscello, che viene oggi più o meno tamponato con i disumani campi delle isole greche; il secondo è stato di regalare al governo turco l’autorizzazione ufficiosa a controllare i quasi 4 milioni di profughi siriani che si trovano in Turchia. Se venisse meno il controllo turco sui profughi, infatti, il ruscello potrebbe ridiventare una marea che anche il muro ungherese di Orban avrebbe difficoltà ad arginare, per non parlare dei “muretti” degli altri Paesi balcanici. In confronto, i “porti chiusi” di Salvini diventerebbero una barzelletta.

 

Ma nella “gestione” dei rifugiati siriani in Turchia si è aggiunta di recente una nuova azione da parte del governo turco: dopo che l’Akp, il partito di Erdogan, ha perso le recenti elezioni municipali di Istanbul, il governo di Ankara si è reso conto che il malcontento popolare per l’enorme presenza di profughi siriani a Istanbul (forse 80-90 mila) unito all’inflazione galoppante (20%) hanno favorito le posizioni degli avversari. Detto fatto: controlli a tappeto per intercettare chi non ha il permesso di residenza per la città sul Bosforo, cioè la maggior parte dei profughi siriani che vi si trovano, che saranno ricondotti ai campi profughi vicino al confine siriano in cui erano registrati, in attesa di un rimpatrio forzato, appena possibile, in aree siriane occupate dall’esercito turco e sottratte agli abitanti curdi, che Ankara non considera né siriani né curdi, ma solo terroristi da “obliterare”.

Nell’accordo dell’Ue con la Turchia del giugno 2016, quello che i turchi starebbero per annullare, era prevista anche una clausola che non è mai stata attuata: l’Ue si impegnava a esentare i cittadini turchi dal visto d’ingresso nei Paesi dell’Ue. Il mancato rispetto di questo impegno ha indispettito il governo turco, tanto più che nel frattempo l’Europa ha definitivamente accantonato l’ingresso della Turchia nell’Ue per mancanza di presupposti come la libertà di stampa e l’abolizione della pena di morte, per esempio.

 

A questi “dispetti” reciproci con l’Ue se ne sta aggiungendo da poco un altro: dopo aver scacciato lo scorso anno le navi dell’Eni con la minaccia di affondarle, è di questi giorni l’arrivo nel mare a nord di Cipro della terza nave turca attrezzata per i sondaggi marini in vista dello sfruttamento dei giacimenti di gas. Inutili le proteste europee sul fatto che Cipro fa parte dell’Ue e che la Turchia non ha alcuna concessione per sfruttare i giacimenti. Secondo i turchi, il permesso ce l’hanno, ed è quello fornito dalla Repubblica turca di Cipro Nord, cioè la parte settentrionale dell’isola cipriota occupata dall’esercito turco nel lontano 1974, che mai nessuno ha riconosciuto come stato indipendente, se non gli occupanti.

 

L’altro fronte caldo in cui la Turchia ha a che fare con i siriani sono le regioni appena oltre il confine, geopoliticamente siriane, abitate in maggioranza dai curdi; e la regione di Idlib dove sono asserragliati i dissidenti del governo siriano, in grande maggioranza jihadisti, oltre a milioni di abitanti. Dopo il fallito accordo di aprile e l’attacco dei governativi siriani appoggiati dall’aviazione russa, i civili in fuga da Idlib che tentano di passare in Turchia sono ormai oltre 400 mila, che andranno ad ingolfare i campi turchi aumentando così il numero dei profughi siriani in Turchia. È dei primi di agosto la notizia che ci sarebbe un accordo di cessate il fuoco a Idlib fra governativi siriani e dissidenti, in particolare con il gruppo egemone dei jihadisti di Hay’at Tahrir al-Sham (Hts). Sebbene sia comunque meglio una fragile tregua al massacro annunciato, non è certo una soluzione duratura. L’Europa è stata finora a guardare, pagando per non dover affrontare il vero problema, la guerra mediorientale. Non ne ha la forza né le capacità, ma il rischio di una seconda estate 2015 è tutt’altro che scongiurato.

 

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons