L’Europa dopo il 15 marzo

«Giustizia sociale, libertà e pace». Sono questi i valori europei intorno ai quali radunarsi secondo Michele Serra al termine della conferenza stampa tenuta insieme al sindaco di Roma Roberto Gualtieri per ribadire la finalità di una manifestazione variegata e plurale che si svolgerà alla fine, per il numero crescente di adesioni, a piazza del Popolo, senza bandiere di partito e interventi di politici dal palco. Saranno intellettuali e artisti ad avvicendarsi, facendo emergere declinazioni diverse, e probabilmente opposte, di quei valori posti alle fondamenta dell’edificio europeo che presenta segnali di instabilità.
Se si digita “bandiera europea” su un motore di ricerca, compare l’immagine di alcuni agricoltori intenti a bruciare il vessillo blu con le stelle dorate dopo aver bloccato le strade di Bruxelles con i loro trattori durante la recente protesta contro l’asfissiante burocrazia delle direttive Ue.
Nonostante una forte pulsione sovranista, l’Italia resta, invece, il Paese dove il richiamo fatto dall’opinionista di Repubblica all’orgoglio europeo, sembra incontrare un’ampia adesione almeno in quella parte di opinione pubblica che si riconosce nell’area culturale di una testata importante, fondata da Scalfari e Caracciolo, che ormai è più di un partito, così come lo è, su posizioni differenti, il Fatto fondato da ex giornalisti dell’Unità e ora diretto da Travaglio.
Ogni associazione, movimento, partito o sindacato ha sentito la necessità di accompagnare l’adesione alla piazza con un comunicato che precisa la propria posizione, ma sarà importante capire il messaggio finale che ne uscirà davanti a scelte concrete sul futuro stesso dell’Europa. Alcuni attivisti cercheranno, probabilmente invano, di entrare nella manifestazione mescolando le bandiere arcobaleno per affermare il dissenso al piano di riarmo predisposto da Ursula von der Leyen, mentre una contro-manifestazione per ribadire gli stessi concetti è annunciata, con numerose adesioni, in piazza Barberini per contestare l’ambiguità dell’evento promosso da Repubblica.
Cacciati dalla finestra, i valori fondanti di una comunità politica rientrano inevitabilmente da un’altra parte, ma è necessario precisarli nel loro contenuto per non restare mere petizioni di principio. Il cammino verso una Costituzione europea si è arenato nel 2005 per il voto contrario di Francia e Olanda. Il trattato di Maastricht del 1992 che ha istituito l’Unione europea è infatti incompleto senza una Carta costituzionale condivisa in grado di impostare una politica estera e di difesa comune.
Anche nel 1954 fu sempre la Francia ad opporsi al varo di una Comunità europea di difesa che era, negli intenti di De Gasperi, nella logica della condivisione delle risorse come avvenuto, sul piano economico, per il carbone e l’acciaio.
Anche se la von der Leyen cerca di ancorare il suo Re Arm Eu allo statista democristiano trentino, il nocciolo della questione resta quello di definire un piano comune tra le industrie nazionali che non devono farsi la concorrenza tra loro, e la necessità dell’unificazione degli stati maggiori degli eserciti. Togliere i vincoli di bilancio per permettere il riarmo dei singoli stati può avere effetti inquietanti per la competizione nella leadership europea in grado di risvegliare antichi demoni. Resta come un ammonimento perenne l’immagine di Mitterand e Kohl che si tengono per mano nel 1984 a Verdun, sul campo che fu un orrendo mattatoio di giovani soldati francesi e tedeschi nella prima guerra mondiale.
Il riferimento a De Gasperi assume una profondità storica importante se si tiene conto che il “modello Alto Adige” da lui promosso nel secondo dopoguerra, attingendo all’esperienza di uomo di confine, è costantemente presente nelle proposte di soluzione del conflitto tra Ucraina e Russia, come proposto dalla diplomazia italiana nell’aprile 2022. Un embrione di possibile capacità negoziale che l’Ue non ha voluto seguire, lasciando il campo ad altri attori come la Turchia, per poi adeguarsi alla trattativa diretta tra Usa e Russia in corso in queste ore.
Osservando la corsa alle armi della Germania di Scholz e, ancora più decisamente, del cancelliere in pectore Merz, con la Rehinmetall in procinto di rilevare le fabbriche dismesse dalla VolkWagen per costruire cannoni, viene in mente la secolare arguzia romana di Andreotti che diceva di amare tanto la Germania da preferirne due invece di una sola (parlava nel tempo precedente alla riunificazione tra est e ovest).
Senza una linea di politica estera condivisa, e quindi di un sistema di difesa ancorato a vincoli costituzionali, appare perlomeno precipitoso il protagonismo di Macron che vanta l’esclusiva della bomba nucleare, fattore decisivo contro la comunità di difesa comune, come fattore di leadership senza capire chi, in definitiva, sarà autorizzato a premere il bottone nell’ora decisiva del casus belli. Lo stesso dicasi per l’arsenale in possesso del Regno Unito.
Alla Francia è richiesto da tempo di condividere con la Ue il potere di veto che può esercitare nel consiglio di sicurezza dell’Onu.
Macron più volte ha evocato nei suoi interventi l’intervento dei soldati europei sul terreno ucraino dove, come ha detto nel suo discorso alla nazione a reti unificate, si contano un milione tra morti e feriti. Una cifra, se verificata, che appare spaventosa; ma è del tutto terrificante pensare agli effetti dell’uso della bomba nucleare che costituirebbe, secondo il presidente francese, l’elemento cardine di una difesa europea. Concetti ribaditi in maniera solenne mentre all’Onu si è tenuto l’incontro di verifica degli stati parte del Trattato del 2017 per l’abolizione delle armi nucleari.
Puntare alla deterrenza nucleare, e al suo uso in casi estremi, è uno dei termini del dibattito che manca in Italia e che una piazza come quella del 15 marzo dovrebbe affrontare, proprio per mettere in chiaro il senso di certi valori di riferimento quanto mai decisivi in tempi dove si parla, con noncuranza, di centinaia di migliaia di morti in Europa, di eccidi e carneficine in Medio Oriente e nel vicino continente africano.
C’è bisogno di allargare lo sguardo per capire il ruolo possibile dell’Unione europea come attore di pace nel mondo, un ruolo riconosciuto dal Nobel per la pace assegnatole nel lontano 2012 per aver trasformato «la maggior parte dell’Europa da un continente di guerra in un continente di pace».