L’Europa a 70 anni dalla Dichiarazione Schuman
Nel 1950, le nazioni europee cercavano ancora di risollevarsi dalle conseguenze devastanti della Seconda guerra mondiale, terminata solo 5 anni prima. Il 9 maggio di quell’anno, però, Robert Schuman, allora ministro degli Esteri francese, coraggioso e lungimirante, propose la creazione di una Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca), i cui membri avrebbero messo in comune le produzioni di carbone e acciaio; fu la prima di una serie di istituzioni europee sovranazionali che avrebbero condotto a quella che oggi è l’Unione europea (Ue).
In piena guerra fredda, la pace era il fulcro della Dichiarazione di Schuman. Egli, infatti riteneva che «la pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano». Egli era anche consapevole che «l’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto». Ecco che «la fusione delle produzioni di carbone e di acciaio» avrebbe cambiato il destino di regioni «che per lungo tempo si sono dedicate alla fabbricazione di strumenti bellici di cui più costantemente sono state le vittime».
Un colloquio con Vito Borrelli, attualmente alla guida della Rappresentanza in Italia della Commissione europea, facilita la comprensione di alcune dinamiche che caratterizzavano l’Europa di allora e chiarisce alcune vicissitudini dei nostri giorni.
Com’è cambiata la Commissione europea rispetto all’Alta Autorità proposta da Schuman per coordinare la nascente comunità europea?
In 70 anni, dai 6 Paesi fondatori (Italia, Francia, Germania Ovest, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo) l’Ue è arrivata a 28, poi 27 membri. Allora c’erano minori ambizioni ma era maggiore la facilità di manovra e il raggiungimento di accordi. Oggi, vista la diversità politica, economica e sociale tra i tanti Stati, è più difficile trovare l’accordo su alcune tematiche, laddove molte materie restano in mano agli Stati membri. Ne è un esempio la materia sanitaria e la migrazione, dove la Commissione europea ha un semplice ruolo di coordinamento.
Che cosa ha fatto la Commissione europea in questa fase emergenziale dovuta alla pandemia di Covid-19, in particolare per l’Italia?
Bisogna riconoscere che le istituzioni europee sono intervenute con leggero ritardo dopo l’esplosione della crisi ma, poi, hanno reagito in materia intensa, sotto il coordinamento e l’impulso della Commissione europea, in particolare in tre ambiti. Quello sanitario, coordinando le azioni dei singoli Stati membri, quello economico, facilitando l’erogazione di fondi a tutte le regioni e i Paesi che ne avevano bisogno, quello della ricerca, da ultimo organizzando una conferenza di donatori internazionali per un vaccino.
La Dichiarazione di Schuman si basava su valori tuttora importanti.
I valori sottolineati nella dichiarazione di Schuman continuano a rappresentare i valori dominanti della nostra unione. Nella pratica, molto spesso, le questioni economiche hanno prevalso su altri tipi di considerazioni, ricevendo delle critiche per essere soprattutto un’unione economica. In realtà l’Ue significa anche solidarietà, diritti fondamentali, sviluppo sociale. Del resto, la nuova Commissione europea, guidata da Ursula von der Leyen, ha tre priorità: il new green deal, la rivoluzione digitale e il pilastro sociale, che significa un’economia al servizio dei cittadini, con attenzione alle fasce sociali più deboli.
Cosa fa la Rappresentanza in Italia della Commissione europea e come possono i cittadini interagire direttamente con essa?
Le Rappresentanze sono impegnate ad avere un contatto più diretto con i cittadini dei Paesi europei, accorciando le distanze con Bruxelles. Esse svolgono molte attività di comunicazione per raggiungere le regioni più remote degli Stati membri, grazie anche ai centri Europe Direct (circa 40 in Itala), come moltiplicatori dell’informazione, ed ai centri di documentazione europea (circa 50 in Italia). Ovviamente, una Rappresentanza informa anche i decisori politici a Bruxelles della realtà dei vari Stati membri.
L’idea di fondo di Schuman era mettere in comune gli interessi economici dei Paesi europei che si erano combattuti durante la Seconda guerra mondiale, nella convinzione che questo avrebbe contribuito ad innalzare i livelli di vita dei cittadini e sarebbe stato il primo passo verso un’Europa più unita. Per Ulderico Parente, docente di Storia e istituzioni dell’Unione europea presso l’Unint-Università degli Studi Internazionali di Roma, tutto questo è accaduto fino a un certo punto.
Quanto è stato realizzato della Dichiarazione di Schuman? In quali ambiti siamo andati oltre e quanto invece ancora resterebbe da fare?
La Dichiarazione Schuman contiene in nuce i punti essenziali su cui si andò costruendo l’Europa unita all’indomani della Seconda guerra mondiale. Essa fu dettata, da una parte, dalla paura che potesse riprendere forza un focolaio di guerra tra la Francia e la Germania; dall’altra, dalla speranza che quei due Paesi condividessero, finalmente, degli interessi comuni, per il cui sviluppo era necessaria la pace ed impossibile la guerra.
Se la Commissione europea ha tentato di dare una risposta alla gestione della pandemia di Covid-19, questa ha anche evidenziato i limiti dell’Ue.
Senza dubbio! Così come ha fatto riemergere egoismi nazionali e chiusure nel perimetro delle proprie sicurezze. Queste paure possono essere comprensibili, ma non sono condivisibili. Esse vanno affrontate con lo stesso spirito pioneristico di Schuman, che ebbe il coraggio di prospettare un “sogno”, concreto e duraturo, sulle macerie ancora fumanti del secondo conflitto mondiale. Anche oggi, ci sono sul terreno dell’Europa, colpita dalla pandemia, tante vittime: i defunti, in primo luogo, le loro famiglie, e poi i tantissimi poveri che le previsioni economiche lasciano già scorgere.
Quale insegnamento, oggi, possiamo trarre da Schuman?
Paura e speranza, sguardo al passato e orizzonti di futuro… L’idea di Schuman, condivisa con gli altri padri fondatori, vinse le resistenze ed ebbe capacità di aggregazione, dando vita, con la Ceca, alla prima tappa del cammino dell’Ue. Pensare a Schuman, in questa situazione che ci assilla, non è solo un dovere di memoria storica, ma anche e soprattutto un’esortazione a guardare avanti, uniti, al di là e al di sopra delle rovine di questa pandemia che, se ci ha sorpreso con la sua ferocia, non ci ha tolto, però, la speranza del futuro.