L’Europa tra 50 anni

Come sarà cambiato il Vecchio continente oggi alle prese con nuove e vecchie paure? L’importanza del dialogo religioso nel tempo della più grande migrazione di massa dai tempi dell’Impero romano
ANSA/ PAOLA MENTUCCIA

In questi giorni non si è fatto che parlare di Europa ed un sessantesimo genetliaco è una scusa più che giustificata per farlo. Si sono dette e, si continuano a dire, molte cose. Si è parlato molto della situazione del nostro continente della fine Anni Cinquanta e di quella in cui viviamo oggi, sei decenni dopo quei giorni memorabili. In questo contesto non si sono tralasciate considerazioni sui sogni dei padri fondatori e sui risultati che ci troviamo fra le mani oggi, soprattutto alla luce del pericolo di disintegrazione del sogno europeo, in particolare dopo la Brexit. Non mancano le considerazioni economiche e finanziarie, i nodi cruciali dell’Europa di oggi, quelli che rischiano di determinarne il futuro o il fallimento del sogno-progetto europeo.

Negli Anni del dopoguerra che spianarono la strada ai Trattati di Roma si parlava solo di Ricostruzione e gli accordi erano su carbone e acciaio, materie fondamentali per realizzarla e ripartire in tutto il continente. Oggi impera lo spettro dello spread e l’andamento altalenante delle Borse (Francoforte, Londra, Parigi, Milano). Tutto questo sei decenni orsono era assolutamente imprevedibile.

Inoltre, l’Europa si è ricostruita e si è riunita al di là delle barriere della Guerra Fredda che sarebbero crollate dopo 32 anni, ma che rischiano – forse mai come oggi – di ricostruirsi e proprio in quella parte del continente che ha cercato di abbatterle per decenni.

Il vero problema dell’Europa oggi sono gli ‘altri’, coloro che arrivano, come forse mai era successo dopo il crollo dell’Impero Romano, e che creano problemi assolutamente imprevisti anche solo a metà di questa strada sessantennale.

Le migrazioni che portano nei vari Paesi, dove più dove meno, popoli provenienti dal Medio Oriente, dall’Asia e, soprattutto ultimamente, dall’Africa stanno cambiando il volto del Vecchio continente. Vecchio davvero, a causa di una demografia ormai asfittica, spesso sotto lo zero e, quindi, senza una prospettiva per il futuro. Si sa, infatti, che si tende a lavorare per un mondo migliore pensando ai propri figli e nipoti. E, ormai, questi in Europa sono ridotti al lumicino.

Le migrazioni ci portano invece migliaia di giovani provenienti da altri mondi, spesso vittime di carestie e di guerre, ma desiderosi di costruirsi un futuro su quello che non è il loro mondo ma che, nonostante tutte le resistenze di molti Europei, lo diventerà.

In questi anni si sta costruendo l’Europa del futuro, un continente assolutamente imprevisto sessant’anni fa ed in pieno divenire. Chissà come sarà l’Europa – sperando che ci sia ancora – che celebrerà il centenario. Senza dubbio chi di noi potrà essere testimone di quei giorni fra quarant’anni non potrà non mettere a confronto volti, costumi ed ambiente ormai diversissimi da quelli del 1957.

Le ondate migratorie contribuiscono a cambiare i colori, le abitudini, i modi di vivere e le sensibilità. In questo contesto, un aspetto fondamentale è oggi e sarà sempre più il pluralismo religioso che caratterizza e caratterizzerà in modo crescente il nostro continente. In questi giorni ero a Londra ed alcuni amici musulmani mi hanno portato a vedere la prima moschea costruita nella capitale britannica, ancora centro del grande impero coloniale di Sua Maestà.

Era il 1924 quando i musulmani ebbero il loro primo luogo di preghiera in quell’angolo di mondo. Oggi Londra ha un sindaco musulmano. L’Europa è cambiata, il mondo cambia e spesso fatichiamo a rendercene conto. Eppure è una realtà!

Proprio in questi giorni di celebrazioni, si sono svolti convegni, giornate di riflessione, ed anche veglie di preghiere sull’Europa presente e futura.Sono stato chiamato ad intervenire ad una tavola rotonda dove hanno parlato, dopo di me, cristiano cattolico, un valdese, una teologa luterana, due rappresentanti ortodossi, un musulmano, una ebrea, un monaco buddista, una indù, un baha’i ed un taoista.

Nel 1957 era inimmaginabile nella cristianissima Italia avere, oltre alla comunità ebraica, antica ma ormai esigua, e ai valdesi e a qualche protestante, rappresentanti di religioni allora pressoché sconosciute. Oggi formano il tessuto del nostro Paese e, ancor più del nostro continente, dove accanto a Chiese (in certi Paesi ormai in disuso) sorgono moschee, gurudwara sikhs e templi indù e buddhisti.

In Europa non è cambiata solo la valuta e neppure la presenza o meno dei confini. È cambiato anche il modo di credere e quello in cui si crede.

A fronte di una secolarizzazione rampante e di una laicità diventata laicismo – fenomeni occidentali, europei e di origine cristiana – abbiamo un forte ritorno al sacro, al fattore religioso, spesso proprio grazie a chi arriva da fuori e che, noncurante di secoli di privatizzazione del fatto religioso, non ha pudore ha pregare per strada o sul bus o sulla metropolitana o, addirittura, sugli scogli al confine fra Italia e Francia prima di tentare un improbabile avventura verso il Nord Europa.

In questa serie inattesa di sviluppi, il Vecchio continente, si è improvvisamente accorto di essere davvero vecchio, di non avere più una identità e, dunque, di avere paura, come dice il sociologo francese Moisi, che nella sua La geopolitica delle emozioni afferma che il nostro continente vive proprio di questo sentimento.

Eppure le religioni, come si è affermato nel convegno di cui accennavo, parlano del loro impegno per una Europa di Pace.

L’uomo e la donna davvero religiosi sono, infatti, impegnati su questa strada e cercano di offrire possibilità di dialogo e di speranza attraverso le diverse tradizioni che seguono. Nella diversità religiosa, il nostro continente potrebbe trovare una nuova risorsa, imprevista e ricca e, soprattutto, la ricchezza dell’incontro e del dialogo. Ma è necessaria una nuova capacità di lettura del presente e, soprattutto, del futuro dove i muri possano essere sostituiti dai ponti e dove la paura del ‘diverso’, dall’accoglienza dell’ “altro”. La parola chiave oggi, per l’Europa, come per il mondo ed il genere umano in generale, resta “dialogo”.

Papa Francesco lo ripete costantemente, come ha avuto modo di dire in occasione del Premio Carlo Magno che tanto a che fare con la storia dell’Europa. «Una parola che dobbiamo ripetere fino a stancarci è […] dialogo – ha affermato papa Bergoglio. Siamo invitati a promuovere una cultura del dialogo cercando ogni mezzo […] che ci permetta di ricostruire il tessuto sociale. La cultura del dialogo implica […] un’ascesi che ci aiuti a riconoscere l’altro come interlocutore valido; che ci permetta di guardare lo straniero, il migrante, l’appartenente ad un’altra cultura come un soggetto da ascoltare, considerato ed apprezzato. È urgente […] coinvolgere tutti gli attori sociali nel promuovere “una cultura che privilegi il dialogo come forma di incontro» (Discorso per il conferimento del Premio Carlo Magno, Città del Vaticano, 6 maggio 2016).

 

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