Lettere al direttore

Un lettore scrive a proposito dell'editoriale di Luigino Bruni "Rimediare all'ingiustizia"
Cassetta Postale

Caro Direttore,

 

ho appena avuto tra le mani Città Nuova con l’editoriale di Luigino Bruni "Rimediare all’ingiustizia". Premetto che fin da piccolo ho imparato il rispetto per gli anziani, ed ho goduto della compagnia dei miei nonni (essendo io nato nel 1961, alcuni di loro erano del "1800 e voltati’ndré", come si diceva dalle loro parti). Gli esempi avuti nella famiglia mia e di mia moglie, dove la cura in casa degli anziani nonni è stata portata avanti con costanza e serenità, è un impegno che noi due abbiamo preso per il futuro dei nostri genitori (e forse non solo loro), e che cerchiamo di trasmettere ai nostri figli.

 

Tuttavia c’è un ma. Nell’articolo si cita la rottura del patto generazionale, ma questa non è una novità in quanto una prima e grave rottura di questo patto già è avvenuta nei decenni passati quando si diede avvio alla riforma del sistema pensionistico (a suo tempo la stessa Città Nuova pubblicò vari articoli in merito). Quelli che allora si avviavano alla quiescenza lavorativa, pur in presenza di un chiaro ed inesorabile cambiamento di scenario, non vollero assolutamente perdere i loro privilegi pensionistici, forti del principio dei "diritti acquisiti" (e tante volte ho sentito questi discorsi nei primi anni Novanta tra parenti ed amici di famiglia). Allora avvenne che si passò dal sistema retributivo a quello contributivo, necessario per far quadrare i conti delle sgangherate casse pensionistiche, e permettere al Paese di entrare nei parametri di Maastricht. Ricordo benissimo. Allora si andava in pensione con un mensile che oggi è più alto dello stipendio di tanti giovani (spesso laureati) che vivono condizioni di assoluta incertezza con i loro contratti precari, per non parlare della liquidazione: oggi obbligatoriamente trasformata (per chi ancora ne gode il privilegio) in pensione integrativa. La cosa più grave riguarda invece la condizione dei tantissimi lavoratori parasubordinati, costretti a versare propri contributi pensionistici in un fondo separato, che però offrirà loro, a parità di versamenti e contributi, pensioni decisamente più basse e svantaggiose rispetto ai lavoratori dipendenti. E non vi è cumulabilità tra i due fondi, nel caso si cambiasse forma di contratto (così mi era stato detto a suo tempo dall’Inps). A me, che sono uno degli antesignani di questi contratti, è stata prospettata una pensione lorda di circa 187 euro mensili. Il tutto con reticenze e silenzi dell’Inps e dei patronati, che sanno ma preferiscono tacere su questa ingiustizia.

 

E gli anziani di oggi? Ad esempio li trovo nei negozi in buona salute e ben vestiti, talvolta con la faccia tosta di chiedere uno sconto in quanto sono dei "pensionati". Li trovo alla posta che "pretendono" di passare davanti (per fortuna stanno mettendo i biglietti numerati) perché sono anziani, salvo poi rivederli a passare il tempo sulle panchine vicine, mentre io devo correre al lavoro. Li trovo nelle assemblee di condomino che sostengono regolamenti vessatori del tipo «È vietato il gioco alla palla» per quei rarissimi bambini che ancora affollano i nostri caseggiati e relativi spazi comuni, oppure obbligano ad orari di riscaldamento centralizzato adatti alle loro esclusive esigenze (sono la maggioranza nei condomini) senza peraltro acconsentire a lavori di installazione di contabilizzazione del calore (sono poveri pensionati e non hanno soldi per questi lavori a dir loro costosi, come se noi invece navigassimo nell’oro …). Li trovo ovunque per strada e nei luoghi pubblici, dove ormai bambini e giovani diventano sempre più rari. E chi gira il mondo ben sa come in altri Paesi (Sud America, Africa, ecc.) colpisce la presenza vitale di bambini e giovani.

 

Allora, sono d’accordo che bisogna rimediare all’ingiustizia che taluni anziani subiscono in quanto non può essere loro garantita una serena vecchiaia in casa, ma alle condizioni attuali, quale famiglia potrebbe lasciare un posto di lavoro per accudirli, ammesso che lo voglia fare? E la mia generazione che si troverà a dover lavorare almeno fino a 70 anni e probabilmente anche oltre, per poi ricevere pensioni che sono troppo alte per morire e troppo basse per vivere? Il tutto con buona pace di chi ha fatto valere i suoi diritti acquisiti a spese nostre, e poi ha ancora la faccia tosta di chiedere sconti nei negozi perché è un pensionato.

 

Aggiungo poi un’ulteriore considerazione: perché mai dobbiamo per forza dare un senso dispregiativo alla parola "vecchio"? Una volta si diceva con reverenza e rispetto «i miei vecchi». E nessuno ci trovava nulla di male.

 

Grazie per voler accogliere questo mio sfogo.

 

A presto,

 

Stefano Comazzi

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