Letteratura da scompartimento
Mi è sempre più difficile trovare libri da recensire. Ogni tanto ce n’è qualcuno, ma è un’eccezione. Sul perché, vorrei spiegarmi con un esempio. Incontro un amico alla stazione ferroviaria. Oh ciao – gli dico -, da dove vieni?. Da quel treno lì fa lui. No – sorrido -, ti ho chiesto da dove vieni. Dal terzo vagone di quel treno lì. Mi impensierisco ma continuo a sorridere: Volevo dire da dove, da quale luogo. Ah – fa l’amico che crede di aver capito -, ho capito: dal quinto scompartimento del terzo vagone di quel treno lì. Lo saluto, ripromettendomi di procurargli non so se preghiere o assistenza psichiatrica. Ma questa è – con eccezioni – l’esatta condizione della letteratura oggi, – perché è l’esatta condizione della società oggi. I libri, sempre più trattati industrialmente come snacks o pietanzine precotte, si stampano e vincono premi letterari, si mandano al macero per stamparne altri con la stessa logica e finalità di intrattenere, divertire (ah, Pascal!), comparire per scomparire, nichilisticamente. Di cosa parlano? Di cose terz’ultime, quart’ultime, quint’ultime; non arrivano neppure per sbaglio alle penultime, figuriamoci alle ultime, oggi chiamate inutilmente, catastroficamente valori. Ma che valori… Quando le hai chiamate così, sono già diventate i buoi fuggiti prima che tu chiuda la stalla. I libri parlano o di idee che si rimandano una all’altra senza trovare mai la prima, o di cosa ha fatto il tale o la tale, ma potrebbero parlare di altre idee e il tale e la tale potrebbero fare altro, in interminabile scambiabilità ed equivalenza (a nulla). Ecco, tutto è simile – diceva il genio Leopardi quasi due secoli fa – e discoprendo/ solo il nulla s’accresce. Ma a me cosa importa questa idea o quella, o che il tale abbia questa amante piuttosto che quella, se per lui stesso è indifferente; che stia qui o lì, che faccia questo o quello, se ogni cosa ha un senso indifferente ovvero non ha senso? L’unica cosa che pare avere senso, allora, è lo scottante prezzo del libro, sempre in crescita, e quello il libraio lo esige, anche se gli dici che nulla ha senso nel libro, neanche il prezzo. La letteratura arriva al capolinea, come il treno, e non lo sa, e pensa di provenire da quel treno, da quel vagone, da quello scompartimento. Per questo la gente che crede di pensare (non il popolo, ancora in gran parte sano e con la testa sulle spalle), quelli che appena appena si credono un po’ intellettuali o giù di lì, se vogliono avvalorare qualcosa, un’esperienza, una lettura, un rapporto umano, usano invariabilmente la parola più insensata in circolazione, parlano di emozioni; le quali, poggiate su niente (se fossero fiori di un albero sarebbero, allora sì, effimere ma legittime), sono aria fritta, giochi a nascondino con la realtà (mai si parla tanto di realtà, vedi i reality show, eccetera, come quando se ne è lontani), menzogne ben consapevoli di sé, anche se le raccontiamo a noi stessi fino a crederci. I libri di Dan Brown, tanto per fare un triste esempio, prima di essere un’accozzaglia più o meno abile di sciocchezze, sono un’interminabile litania di bolle d’aria, di nulla in porzioni da supermercato. Perché tanta gente li divora? Perché ha l’ignoranza sufficiente per crederli pieni di cose vere, ma soprattutto perché vuole crederci. Ma quasi tutto – lasciamo stare i classici – nell’attuale mercato librario è così, parole vane una dietro l’altra, e per il lettore tempo sprecato a caro prezzo. Da dove viene il treno, se è un treno serio e non ha fatto semplicemente un giretto sui binari secondari e morti della stazione? È chiaro che viene da Dio. E questo vale anche per l’ateo serio, per il quale la questione Dio non è minimizzata, non è irrilevante; esattamente come per il credente serio. Se lo fosse, questa sarebbe non una scelta dignitosa ma una frivolezza eccessiva o una forzatura in mala fede. E così: la letteratura da scompartimento chiacchiera, chiacchiera del meno e del meno, avendo rinunciato al più; fa gossip su tutto, meno che sulla propria identità mistificante; e diventa sempre più chiaramente non solo noiosa, e un po’ nauseante, ma peggio: irrilevante.