Lettera aperta di un Albero di Natale
Di solito noi non scriviamo. Lo so che vi sembrerà strano, ma sono giunto a questa venerabile età senza aver mai avuto bisogno di scrivere neppure una cartolina (figuratevi una e-mail!). Questa volta però non potevo farne a meno. Dunque, per cominciare, mi presento. Sono un Albero di Natale. Stupiti? Posso immaginarmelo, ma lasciate che mi spieghi. Noi Alberi di Natale abbiamo ormai da anni una parte da primadonna nella coreografia natalizia, perciò mi pareva giusto farvi conoscere il nostro pensiero (o almeno il mio). Senza molto riguardo per le nostre preferenze ci sistemano nelle piazze, negli shopping-center, nelle case così tremendamente riscaldate – almeno per noi! – e in quelle settimane di dicembre possiamo notare molte cose. Inoltre noi alberi, caso mai non lo sapeste, abbiamo un po’ la stoffa dei filosofi: stando sempre lì, immobili, abbiamo tutto il tempo per guardare e per riflettere a lungo. E un certo feeling con la letteratura ci è connaturale. Infatti i libri, con cosa li fate? Con noi! E come siamo orgogliosi quando ci usano per stampare storie bellissime: come quella del maestro Tolstoj, che racconta del ciabattino Martin” la conoscete? o il Canto di Natale di Dickens, o quella del Gigante egoista di Wilde, che è così toccante leggere a Natale mentre con la famiglia raccolta state di fronte a un nostro ceppo che arde scoppiettando nel camino! Ma ritorniamo al dunque. Lasciate che vi dica qualcosa di me. Io non sono un tipo di città. Sono nato e cresciuto nei boschi. Quando, legato su un camion, ho visto da lontano le prime luci di New York pensavo d’essere arrivato in un’enorme foresta abitata da giganteschi alberi di Natale illuminati. “Sono grattacieli, ignorante! “, mi corresse subito una voce proveniente dal camion. Arrivato a destinazione mi scaricarono e mi spedirono a un negozio della Quinta Avenue dove mi avrebbero messo davanti a un grande magazzino. I miei amici mi guardarono con un po’ d’invidia, perché per i più presuntuosi Alberi di Natale quello costituisce il culmine della carriera. Devo ammetterlo, la posizione non era delle più comode. Non ero abituato al traffico e rimpiangevo la neve e il vento dei boschi. Poi mi ricoprirono di palline colorate, di luci scintillanti e di strisce dorate e argentate. Così agghindato, mi sentivo proprio ridicolo. Ma vedevo che alla gente piacevo così, e questo mi faceva piacere. Non ero abituato a tutto quel baccano. Nella foresta non parliamo molto, ci intendiamo con uno sguardo, con un piccolo movimento dei rami. Lì invece: musica e tanta gente che parlava. Facevo un po’ di difficoltà a capire, perché non ero abituato a quella varietà di lingue e d’accenti, ma in tutte le frasi riconoscevo le stesso ritornello: “regali di Natale”. Non capivo di cosa stessero parlando. Erano forse quei pacchetti colorati che, accanto a me nella vetrina, un Babbo Natale che muoveva il capo teneva in un carretto trainato da renne? Di fronte alla vetrina la gente si fermava a guardarmi e a sorridere. I bambini in punta di piedi con il naso pigiato contro il vetro si lasciavano trasportare in quel mondo magico. Ma quale mondo? Vedevo sì tanta allegria, tanta ricchezza” ma io, lassù nei boschi, avevo sentito un’altra storia. Una storia piena di poesia, di suoni di povere zampogne, di stelle” Era la storia di due giovani sposi ebrei, Maria e Giuseppe, e della loro straordinaria avventura. Di sicuro la conoscete anche voi. Maria e Giuseppe, quella notte, avevano cercato un albergo, ma nessuno li aveva ospitati. Avevano poi trovato una stalla. E lì, nella penombra, era nato un bambino. Ma quel bambino era Gesù, il figlio dell’Altissimo. Il cielo, mai come in quel momento, aveva toccato la Terra. Una nuova era stava per cominciare, nel silenzio. Gli unici ad accorgersene erano dei poveri pastori. Questa era la storia che avevo sentito nei boschi, ma qui nella grande città non trovavo nulla che me la ricordasse. Lo sfarzo di luci e ricchezza aveva sì un certo fascino, ma non mi diceva un granché” mi pareva che nascondesse un enorme vuoto. Quando il magazzino chiuse le porte e spedì a casa la gente, io me ne stavo lì, un po’ deluso e intristito. Però nel negozio avevano lasciato accese tutte le televisioni. All’inizio quelle scatole parlanti mi davano un tremendo fastidio, ma poi” Prima trasmisero scene bianche e nere d’un ometto con bombetta e bastone” Che dolcezza nei suoi gesti! E quante risate! Temevo che le palline mi cadessero dai rami! Poi ci fu Pupazzo di Nev. Un cartone animato così ricco di poesia, che per un attimo mi sembrò di respirare di nuovo l’aria limpida dei miei boschi, i loro spazi maestosi. “Ma gli uomini sono capaci di questo?” dissi tra me e me, piacevolmente sorpreso. Poi ci fu un film. Mi sono perso l’inizio, non ho visto il titolo” la storia d’un uomo, salvato da un angelo (n.d.r. si trattava di La vita è meravigliosa, di Frank Capra). Beh, insomma, non sono capace di raccontarvelo, ma era stupendo! Mi scendevano le lacrime dagli aghi, dalla commozione. Mi dovetti ricredere, sugli uomini. Sono veramente capaci di cose fantastiche! Così, assai rincuorato, voltai nuovamente lo sguardo sulla strada. Era ormai notte fonda. Di fronte a me un uomo, un povero, s’era addormentato. Probabilmente se ne stava lì, di fronte alla vetrina, a chiedere l’elemosina da quando avevo iniziato a guardare la televisione. Disteso su un cartone e avvolto in un vecchio cappotto ora sonnecchiava, tutto intirizzito dal freddo. Avrei voluto stendere i rami per ripararlo dalla neve, ma il vetro della vetrina me lo impediva. Mi venne allora una grande voglia d’essere un umano, con dentro sentimenti buoni come quelli che m’aveva messo dentro la corteccia il film che avevo appena visto” per fare qui in Terra un po’ di spazio al cielo. E far festa con più gente possibile al bambino nato tanti anni fa. Ecco, tutto qui. Ora vi saluto con gli auguri più belli di un Natale tutto speciale. Vostro affezionatissimo Albero di Natale