L’Etiopia guarda al futuro

Intervista al nuovo segretario della Conferenza Episcopale di Etiopia, Abba Teshome Fikre. Il premier etiope Abiy Ahmed Ali ha vinto il Nobel per la Pace. È l'uomo che dopo anni e anni di guerra è riuscito a mettere la parola fine alla guerra con l'Eritrea.

Torno ad Addis Abeba a distanza di un anno, una città in perenne costruzione ed espansione, alle prese con un delicato nuovo equilibrio socio politico. Da pochi giorni Abba Teshome è stato eletto nuovo segretario della Conferenza episcopale di questa antichissima Chiesa. Volentieri ha risposto alle nostre domande sulla situazione politica e sulle priorità per il cammino della Chiesa.

È passato un anno e qualche mese dalla firma del trattato di pace tra Etiopia ed Eritrea, e dalla nomina del nuovo primo ministro, Abiy Ahmed Ali, vincitore del premio Nobel per la Pace. Quali cambiamenti si registrano nel Paese?

Vediamo una speranza positiva per il futuro di tutto il popolo etiope, dopo anni di crisi economica, politica, sociale, legata principalmente alla filosofia del federalismo basato sulle etnie. L’accento sul dare diritto a tutte le etnie di governare autonomamente ha creato un buco nell’unità del Paese. Se ogni etnia vive per sé, pensa per sé, progetta per sé, l’unità tra tutte queste etnie che fanno un Paese che si chiama Etiopia, è minata. Il cambiamento che vediamo è nel portare avanti un progetto di unità, di riconciliazione, di pace. È già operativa la commissione Pace e Riconciliazione, presieduta anche dal nostro Cardinale (Berhaneyesus Demerew Souraphiel), che è già un riconoscimento al contributo della Chiesa cattolica allo sviluppo della comunità etiopica. Il cambiamento è iniziato già i primi giorni del nuovo governo quando il primo ministro ha liberato migliaia di prigionieri politici. Le opposizioni in esilio da anni, sono state invitate a tornare a casa e intervenire liberamente nella politica locale. La diaspora è stata coinvolta attivamente.

Quale attesa per il futuro politico del Paese?

Aspettiamo nel maggio 2020 le elezioni generali. Ci sono in atto cambiamenti nel framework legale. È cambiata la legge sull’economia, e si avvia una riforma del sistema giudiziario, finora sotto il controllo del Governo. Non tutto è fatto, ma sembra esserci la volontà politica. Le organizzazioni della società civile finora non potevano essere coinvolte nella democratizzazione del Paese. Ma adesso la nuova legge permette di lavorare apertamente per i diritti umani. Anche noi come Chiesa cattolica possiamo lavorare liberamente per la pace e la giustizia. Prima dovevamo tenere un profilo basso, parlare solo nelle chiese, adesso possiamo uscire allo scoperto nella promozione della pace.

A giugno però in un tentato colpo di stato, è stato ucciso il capo stato maggiore dell’esercito. Qual è il livello di tensione legato ai conflitti?

Bisogna pensare che anche se c’è stato un cambiamento, il partito al governo è sempre lo stesso. E ci sono ancora persone della vecchia politica che hanno una grande influenza. Anche se non sono in primo piano, da sotto cercano di mobilitare chi è stato cacciato via dal nuovo governo, con l’accusa di violazione dei diritti umani. Nel dettaglio, quale sia la ragione, chi li abbia uccisi, non si sa.  È stato un grande danno, ma il primo ministro ha sottolineato che il Paese deve guardare avanti. La speranza che abbiamo è che se le elezioni a maggio andranno a finire bene, il Paese partirà come un missile. Se va male, sarà perché non riusciamo a superare quelle tensioni tra regioni, etnie, gruppi con interessi politici diversi. Se passiamo le elezioni, con un risultato accettato dalla comunità, tutto andrà a buon fine; speriamo e preghiamo per questo.

Da ottobre scorso l’Etiopia ha anche una presidente donna, Sahle-Work Zewde, molto attiva nella difesa dei diritti delle donne. Com’è la situazione della donna oggi?

Parliamo del miglioramento… è solo l’educazione che dà la garanzia per l’emancipazione della donna. Questo avviene già per chi abita nelle città, e nelle immediate periferie. Ma nelle famiglie contadine, la condizione della donna è ancora di sottomissione. Se diamo la priorità a mandare a scuola le bambine, il futuro c’è. C’è la volontà politica: chiedere che il 50% del consiglio dei ministri, sia composto da donne, fa vedere che le donne fanno, se gli uomini non tengono il potere solo per sé. Nessuno si aspettava una presidentessa donna, non ci si aspettava di arrivare a questo punto. La percentuale di iscrizione delle ragazze nelle scuole cattoliche nelle città è oltre il 50%, nei villaggi un po’ di meno. Con questo sistema di istruzione arriveremo al punto in cui le donne saranno una massa critica per il cambiamento del Paese.

Come neoeletto segretario generale della Conferenza episcopale di Etiopia, quali vede come priorità per la Chiesa etiope?

Partiamo dal fatto che la Chiesa cattolica in Etiopia, pur essendo meno dell’1% della popolazione, è il secondo fornitore, dopo lo Stato, di servizi nel campo dell’educazione e della salute, con 430 scuole (fra cui università), 89 centri sanitari, e oltre 200 progetti sociali dalla promozione umana alla difesa del suolo, nella prospettiva della Laudato Si’. Detto questo, ci ricordiamo però il monito del Santo Padre che la Chiesa non è una ong. E anche se tutte le nostre opere vogliono essere animate dall’amore e dal Vangelo, la priorità in questo momento è di seguire alla lettera le indicazioni dell’Evangelii Gaudium e cercare nuove vie di evangelizzazione nel mondo di oggi: il rinnovamento della catechesi, il coinvolgimento dei laici, la capacità di parlare ai giovani e ai ragazzi nel mondo digitale, una auto-sostenibilità che ci permetta di continuare la nostra azione sociale. Molti giovani migrano a rischio della vita per mancanza di opportunità di lavoro. Ma come organizzazioni religiose potremmo investire di più per creare nuove opportunità per loro. Le sfide sono molte, ma sono convinto che solo attraverso questo consolidamento interno potremo essere capaci di affrontarle e rispondere alle attese della chiesa e della società etiope.

 

 

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