L’estate di Agnese
Due solitudini che s’incontrano. Agnese, una bambina di 9 anni e Caterina, la zia, di 45 anni. Dovranno trascorrere insieme l’estate perché la mamma di Agnese deve curare la depressione seguita alla nascita del fratellino. L’esordio non è dei più semplici: imbarazzo, soggezione, paura, voglia di scappare. Nessuna delle due si trova in una condizione di serenità. L’estate di Agnese è il racconto di questo incontro, la storia semplice di una vacanza insieme, capace di curare ferite e ridonare, ancora e di nuovo, il respiro della speranza. Un saggio dal titolo Relazioni che forgiano e riparano della psicologa e psicoterapeuta Chiara Gambino indaga la relazione genitori‒figli e i possibili problemi comportamentali, emotivi e sociali. L’autrice del racconto è Tamara Pastorelli, documentarista e autrice di programmi televisivi.
Il racconto nasce da avvenimenti autobiografici?
«L’estate di Agnese è il frutto di tutte quelle storie ascoltate fin da piccola in casa e che hanno formato il mio immaginario: racconti orali, aneddoti visti o vissuti, letture, esperienze vere di amici. L’origine, il nucleo originario dell’idea, è legato ai racconti avvincenti che da sempre mia mamma fa della sua infanzia, soprattutto delle “avventure” estive nel paese di Pereta, dove sua zia Italia faceva da perpetua al parroco, il fratello don Mario. A distanza di tanti anni, il suo sguardo saggio, ingenuo e esilarante sul mondo dei grandi non ha perso la sua potenza, e riesce sempre a strapparti una riflessione, accompagnata da un sorriso pieno di tenerezza».
Altre fonti di ispirazione?
«La storia di Fabrizio Mori, un paletnologo di fama internazionale che diresse per quasi cinquant’anni le missioni di ricerca preistorica nel Sahara e in Akakus, il deserto dipinto della Libia, per i Grandi scavi d’Ateneo dell’Università “La Sapienza”. Dopo la tragica perdita del figlio, fondò a Trequanda, in provincia di Siena, nel podere di Gugliano, il Centro Lorenzo Mori, in cui sono stati seguiti e cresciuti decine di ragazzi. Il suo libro “Nessun bambino nasce cattivo”, racconta dell’importanza “curativa” di un buon rapporto del bambino con l’ambiente umano e naturale che lo circonda. Molta della sua saggezza l’aveva imparata dai tuareg del deserto. Avrei sempre voluto raccontare con un documentario la sua esperienza. Purtroppo, quando l’ho conosciuto era già molto malato, e non è stato possibile. Ammetto che ho lasciato che la lettura del suo libro suggestionasse la mia fantasia».
La macchia mediterranea, la Maremma, perché la scelta di questa ambientazione?
«L’estate di Agnese è una fiaba, e il “luogo” delle fiabe per eccellenza è il bosco. Certo, qui si parla di macchia, che è un bosco un po’ diverso da quello di Cappuccetto Rosso o Biancaneve o Hansel e Gretel. A Dogana, la fattoria dove Agnese trascorrerà le sue vacanze, la luce prevale sull’ombra e il mare è tanto vicino. Decisamente, la macchia fa meno paura del bosco. Almeno secondo me. Per chi lo conosce, non sarà difficile rintracciare “Dogana” in qualche posto sperduto dentro il Parco Naturale della Maremma: quello è il mio luogo dell’anima, il mio ambiente capace di cura, con le sue asprezze, la sua essenzialità e la meravigliosa bellezza umana della sua gente».
Nel loro viaggio dell’anima cosa cercano le due protagoniste femminili?
«A parte la parentela, in modi diversi, Agnese e Caterina vivono una situazione di dolore forzato, un momento di sospensione, che genera sentimenti di abbandono, di solitudine, di disperazione. Cercano la fuga, una via d’uscita al proprio dolore».
Una storia delicata, del cuore. Perché sane relazioni familiari curano le ferite?
«Credo sia una questione di fiducia. Un bambino, come un adulto ferito, alza intorno a sé dei muri, per difendersi, per non farsi più ferire. Quando ci si fida dell’altro, invece, si abbassano le difese. Si corre il rischio di far entrare altro male. Relazioni sane, non solo familiari, invece, fanno entrare carezze magiche, capaci di cucire con un filo d’oro le lesioni antiche».