L’estate degli sfollati

Sono pochi coloro che sono partiti per le vacanze dalle zone terremotate dell'Emilia. In tanti sono rimasti a casa per ricostruire le abitazioni e le città nel segno della solidarietà
terremoto Emilia

Sono passati esattamente due mesi da quando, alle 9 del mattino del 29 maggio, una seconda scossa di terremoto sconvolse l’Emilia, ma ancora non è stato approvato il decreto proposto dal governo per la ricostruzione delle zone colpite dal sisma e la gente continua a lottare ogni giorno con diversi problemi: dopo una pausa di fresco, è tornato il caldo e la temperatura nelle tende è molto, molto elevata. Nonostante tutti i disagi, la protezione civile e i volontari continuano senza sosta il loro lavoro e, con l’inizio del Ramadan, hanno anche ampliato i loro orari di servizio su richiesta delle comunità islamiche presenti nelle tendopoli, molto numerose, proprio per favorire la partecipazione e il culto di queste.

 

Ed ora, dopo il primo periodo di conta dei danni e di disorientamento, chi è potuto rientrare nella propria casa sta piano piano riordinando tutto. «Ancora dormiamo al piano terra – mi dice Marta, una terremotata – perché abbiamo paura, ma in questi giorni di ferie abbiamo deciso di non andare via e stare a casa per sistemarla, e soprattutto perché dobbiamo riappropriarci della nostra quotidianità e dell’abitazione che in questi mesi non abbiamo più sentito e vissuto come casa, bensì come fonte di pericolo».

 

E se gli adulti sono impegnati nel ripristinare tutti gli angoli, i mobili e le stanze delle case, per i più piccoli quasi in tutti i comuni sono attivi centri estivi che per tutto il giorno fanno animazione, occupano i bambini e i ragazzi in attività di gioco, ricerca e divertimento. Ad animare questi spazi, anch’essi sotto tensostrutture offerte da privati o da alcuni comuni limitrofi, sono gli insegnanti delle scuole dell’infanzia e delle elementari: «Ognuno di noi – mi spiega Fiorella – ha dato la sua disponibilità per quindici giorni del periodo estivo e così si è creata una sorta di turnazione che permette a tutti di mettersi in gioco e allo stesso tempo di avere tempo per sé, per la propria famiglia e per riposare».

 

E se le tendopoli sono ancora affollate, soprattutto da stranieri, sono ancora tante le tende disseminate qua e là nei giardini dei privati o negli spazi verdi pubblici. «Con mia moglie – mi dice Alberto – abbiamo deciso di non andare in vacanza, anche se avremmo potuto, perché vogliamo stare qui con la nostra gente e renderci utili anche e solo con la presenza e con l’ascolto. Il garage di casa nostra è divenuto un posto dove tanti amici portano vestiti e articoli vari per i terremotati, noi ogni giorno li doniamo a quanti sappiamo in necessità e poi quello che resta lo portiamo alla Caritas che conosce meglio di noi le esigenze di singole persone e famiglie».

 

Non andrà in vacanza nemmeno Mario, che con la sua impresa edile continua a controllare case, buttar giù camini lesionati, coprire – nei casi in cui si può – crepe: «C’è da avere tanta pazienza in questo periodo, perché vorremmo già ricostruire tutto e avere tutto pronto prima dell’arrivo dell’inverno e invece c’è da aspettare e non possiamo far nulla per via della burocrazia».

 

Le parole “pazienza” e “calma” sono quelle più di moda nei paesi colpiti dal terremoto. La gente non corre più, tutti si fermano a salutarsi, le persone hanno riscoperto che i rapporti interpersonali valgono più di altro: «Abbiamo compreso – mi dice Marta – anche la bellezza del fermarsi e chiederci come stiamo; ora nulla è più così scontato».

 

 

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