L’esodo epocale verso la felicità
Non so se ci si è resi conto della portata epocale della dichiarazione di papa Francesco a proposito della ennesima tragedia dell’immigrazione dal Sud al Nord del Mediterraneo. Parole apparentemente incongrue nella loro conclusione. Dopo aver infatti detto: «Sono uomini e donne come noi, fratelli nostri che cercano una vita migliore, affamati, perseguitati, feriti, sfruttati, vittime di guerra», Bergoglio ha aggiunto: «Cercavano la felicità». La felicità, niente meno!
È finita l’epoca della grandeur europea a spese del resto dell’umanità. È finalmente terminata l’epoca del colonialismo. È finita l’epoca della altezzosa opulenza europea: nel momento in cui si inaugura la scintillante sede della Banca centrale europea a Francoforte, simbolo del trionfo (presunto) della finanza, le misere bare galleggianti in mezzo al mare diventano il simbolo di mezzo pianeta, il Sud del mondo, che reclama sì ricchezza, ma soprattutto partecipazione alla felicità.
Ed è quindi una chance straordinaria quella che viene offerta all’Europa intera: diventare il rimorchiatore di un nuovo agreement, di un nuovo accordo tra Nord e Sud, di un nuovo abbraccio tra popoli per il bene comune, che non può più essere solo “europeo”. Il Mediterraneo, il mare nostrum, muta di significato: non più “nostro” solo del Nord, ma “nostro” del Nord e del Sud insieme. Un passaggio, un ponte, un abbraccio.
Perché l’Europa, invece di limitarsi ad aprire il borsellino con riluttanza, per concedere qualche milione in più a Triton, invece di negoziare la concessione di qualche migliaio di visti in giro per il continente, non si fa promotrice di una grande assemblea tra tutti i Paesi interessati all’esodo di questi anni – inarrestabile militarmente, sia chiaro, troppa è la pressione dei poveri del Sud, dall’Egitto al Sudan, al Niger, all’Etiopia, dal Burkina Faso all’Algeria e così via – per escogitare soluzioni condivise, con reali trasferimenti di ricchezza e con investimenti adeguati nel Sud, e non solo nel Nord, che poco alla volta possano portare alla fine delle intollerabili sepolture nella tomba d’acqua del Mediterraneo?
In un’intervista ad Avvenire, Romano Prodi sembra ipotizzare un percorso simile nell’attuale emergenza, dicendo: «Se non c’è un’azione concordata e combinata tra grandi Stati non risolveremo mai il problema». L’Europa, facendosi promotrice di un grande evento internazionale, farebbe così anche i suoi interessi: riuscirebbe infatti nel suo imperativo di trasmettere il proprio sistema di valori, di diritti e di modernità che altrimenti rischia di vedere spazzato via dall’onda gigantesca, di dimensioni ben maggiori dell’attuale, che si abbatterebbe sul continente, travolgendo muri e porti, aeroporti e barriere di frontiera. Ciò permetterebbe all’Europa di erigere giuste misure a difesa del proprio suolo e anche della propria cultura, ma aprendo nel contempo quel dialogo tra Stati, tra popoli, tra fedeli di religioni diverse che, solo, può evitare la fine annunciata di una civiltà e l’incertezza di un futuro sbriciolato.
Ha ragione il direttore de La Stampa, Mario Calabresi, quando s’interroga sui “perché” dell’attuale ondata di sbarchi. Bisogna andare alle radici della malattia, non bastano pannicelli caldi. La “malattia” sta nella frustrata ricerca di felicità che alberga nel cuore di ogni uomo e di ogni donna. Nell’immediato l’Europa ha il dovere morale di impegnarsi a evitare stragi come quelle di questi giorni. Ma non bastano tutte le operazioni Triton o Poseidon possibili e immaginabili. Bisogna alzare lo sguardo. La rivoluzione digitale ha portato il mondo ad essere più piccolo, più “prossimo”, paradossalmente anche più fraterno. Rendiamocene conto e agiamo di conseguenza. L’Europa dimostri che la fraternità, elemento dimenticato della triade della Rivoluzione illuminista, può diventare realtà. E salvezza.