L’esodo di Visso e quello di Lampedusa
«Tu proverai sí come sa di sale/ lo pane altrui, e come è duro calle/ lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale». Così il Sommo nel Paradiso, XVII canto. Osservando l’esodo degli abitanti della zona di Camerino dopo l’ennesimo terremoto che ha squassato l’Appennino nell’Italia centrale, mi tornano in mente questi tre versi di Dante che parlava di esilio, ma che si adattano bene all’esodo dai propri borghi della gente di Amatrice, Pescara del Tronto, Camerino, Visso… Il pane altrui è salato, le scale altrui sono dure… Anche il pane e le scale degli alberghi della costa che ospitano gli sfollati, anche quelli consumati nelle casette provvisorie. Lasciar casa propria è sempre un dramma biblico, è la ripetizione dell’atto di Abramo che lascia Ur dei caldei. È il dramma dei migranti che lasciano le loro Terre per andare altrove, qui da noi, dove si sta meglio che in Gambia o in Siria.
È il ricordo che su questa terra ci siamo provvisoriamente, come mi ricorda proprio in quest’istante la terra che anche qui a Roma trema di nuovo, in una delle migliaia di scosse che dalle viscere della Terra, questa volta matrigna, salgono ora alla superficie popolata da noi mortali. È il ricordo che «l’esodo è la natura stessa del dio… lo slittamento irreversibile dell’esistenza», come scriveva Jean Grosjean nel 1912. Gesù stesso s’è “esodato” o “esiliato” dal suo Cielo per venire su questa Terra, per ricordarci che qui non ci siamo per sempre. E per confortarci assumendo su di sé le nostre sofferenze. Sì, nell’esodo, o nell’esilio, c’è solo una cosa che consola, che rassicura: la solidarietà, la vicinanza, la condivisione della sofferenza, il compatire, il cum-patere, il soffrire insieme. In questo noi italiani sappiamo spesso essere dei grandi, talvolta dei grandissimi. A Camerino come a Lampedusa.