L’esito degli otto quesiti referendari
I quindici giudici del Palazzo della Consulta hanno seguito alla lettera le indicazioni del presidente Giuliano Amato che, alcuni giorni prima dell’udienza di ammissibilità degli otto quesiti referendari (uno sull’omicidio del consenziente, uno sulla cannabis e sei sulla giustizia) ha dichiarato: «Dobbiamo impegnarci al massimo per consentire, il più possibile, il voto popolare… I referendum sono una cosa molto seria e perciò bisogna evitare di cercare ad ogni costo il pelo nell’uovo per buttarli nel cestino».
Ed infatti, in questi giorni la Corte costituzionale ha ammesso la maggior parte (ben cinque, in materia di giustizia) dei quesiti proposti (dai Radicali, dalla Lega e da nove consigli regionali), bocciando quello relativo all’abrogazione parziale del reato di omicidio del consenziente, quello in materia di coltivazione ed uso di stupefacenti e quello sulla responsabilità diretta dei magistrati.
È sempre utile spiegare, tanto più importante ora, «quando le campagne informative che precedono decisioni come queste sul referendum, avvengono all’insegna di parole che poi possono risultare determinanti nell’interpretare quel che è accaduto», dichiara il presidente Amato nella conferenza stampa del 16/02/2022, riferendosi in particolare al quesito sull’abrogazione di una parte del reato dell’omicidio del consenziente.
«È la parola eutanasia che ha portato tutto questo (…)», afferma il Presidente della Corte costituzionale: tutte le persone che hanno sottoscritto quel quesito, «si sono orientate a favore di questo referendum pensando che fosse un referendum che riguardava coloro che soffrono, mentre è un referendum che apre l’immunità penale a chiunque uccide qualcun altro col consenso di questo qualcun altro, che sia persona che soffre o no, questo è ingiusto (…) Occorre dimensionare il tema dell’eutanasia sulle persone alle quali questa nozione, giustamente, si applica, coloro che soffrono come quelli per i quali abbiamo ammesso il suicidio assistito» (presidente Amato).
Insomma, viene da chiedersi se i quesiti siano stati scritti bene da chi li ha proposti. Rimane legittimo anche il dubbio che i giudici costituzionali abbiano davvero cercato il pelo nell’uovo ma, a rigor di legge, i quindici giudici non possono modificare il quesito referendario proposto. Ad esempio, in materia di stupefacenti, «se il quesito è diviso in tre sotto-quesiti, io ho questo treno e non lo posso toccare e allora se il primo vagone, già da solo, deraglia si porta dietro gli altri due», ha spiegato il presidente Amato, precisando che detto referendum «avrebbe violato accordi internazionali» perché comprendeva sostanze stupefacenti «come papavero e coca, cosiddette droghe pesanti».
Venendo ai quesiti sulla giustizia, è stato bocciato anche quello riguardante l’introduzione della responsabilità civile diretta dei magistrati, rappresentata dallo slogan “chi sbaglia paga”; oggi la responsabilità è indiretta e cioè, ogni cittadino colpito da accuse inesistenti o che finisce in carcere da innocente, può chiedere giustizia allo Stato e quest’ultimo, eventualmente, può rivalersi sul magistrato che ha sbagliato.
Ma come dicevo all’inizio, ben cinque quesiti (sui temi della giustizia) sono stati ammessi dalla Corte costituzionale, a partire dal referendum sull’abolizione della cd Legge Severino ed in particolare la disposizione che prevede l’automaticità della sospensione in caso di condanna non definitiva che i promotori del referendum ritengono essere uno strumento inefficace se non addirittura dannoso per i soggetti coinvolti, laddove l’accusa si rivelasse infondata, ritenendo preferibile la valutazione discrezionale del giudice sugli effettivi presupposti dell’interdizione dai pubblici uffici.
È stato ammesso anche il quesito relativo alla custodia cautelare; con l’eliminazione di una parte dell’art.274 del Codice penale, l’intento è quello di ridurre l’ambito dei reati per i quali è consentita l’applicazione delle misure cautelari, soprattutto quella relativa alla carcerazione preventiva.
Promozione anche per il quesito che vuole introdurre il voto degli avvocati che siedono nei consigli giudiziari, anche sulle valutazioni di professionalità dei magistrati; un segnale forte per ribadire il peso istituzionale della classe forense all’interno dell’ordinamento giudiziario e, forse (è solo l’impressione di chi scrive), un primo passo per l’inserimento della figura dell’avvocato nella carta costituzionale, accanto a quella del magistrato.
In primavera andremo a votare (per il sì o per il no) anche per la separazione delle carriere; se vince il “sì”, un magistrato dovrà scegliere all’inizio della sua carriera la funzione che intende svolgere (il giudice oppure il pubblico ministero). Così facendo dovrebbero venir meno i condizionamenti che rischiano di alterare la terzietà del giudice sino ad intaccare l’imparzialità della decisione, in quanto non vi sarebbe equiparazione e collegamento alcuno tra il pubblico ministero che ha potere d’indagine ed un soggetto terzo come il giudice che, appunto, deve rimanere distaccato da tutte le parti processuali.
Voteremo anche in materia di elezione dei componenti del Consiglio Superiore della Magistratura, perché è stato ammesso dalla Corte costituzionale anche il quesito che propone di cancellare la norma che stabilisce che ogni candidatura (per il CSM appunto), va sostenuta dalle firme di almeno venticinque presentatori; l’obiettivo è di arrivare a candidature individuali libere, già previste nella riforma Cartabia.
In tutta franchezza, viene da chiedersi quanto saranno in grado i cittadini nell’esprimersi su questioni così tecniche (soprattutto quelle in materia di giustizia) per le quali nemmeno il Parlamento ha saputo (o voluto) metterci mano.
Quel che ho capito da tutta questa vicenda è questo: anche in materia di referendum popolare, le parole contano eccome e queste stesse parole vanno spiegate chiaramente ai cittadini, soprattutto nella fase preliminare della sottoscrizione dei quesiti referendari. E tutto questo, il Presidente della Corte costituzionale, l’ha spiegato molto bene nella conferenza stampa, rispondendo ad ogni domanda dei giornalisti. La Corte costituzionale, tramite il suo Presidente, ha spiegato il lavoro svolto; nei prossimi giorni leggeremo nel dettaglio le motivazioni che stanno alla base delle decisioni prese dai giudici del Palazzo della Consulta.