L’esempio di Livatino e i rapporti tra mafia e affari

Il ricordo del magistrato ucciso dalla mafia nelle campagne di Canicattì (Agrigento) il 21 settembre 1990. Giudice integerrimo, per lui è stato avviato il processo di beatificazione. Il ricordo del capo dello Stato, Sergio Mattarella, e del presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti
Il presidente Mattarella nel 30° anniversario della morte di Livatino (Fonte: Quirinale)

Era il 21 settembre 1990: sono passati 30 anni. Rosario Livatino stava percorrendo in auto la strada verso Agrigento. Proveniva da Canicattì, sua città d’origine, dove viveva nella casa insieme ai genitori. Non aveva scorta e, come ogni mattina, a bordo della sua utilitaria, stava per recarsi al lavoro. Lavorava alla Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Agrigento, indagava sugli arricchimenti illeciti dei criminali, sulle operazioni bancarie sospette, sugli interessi economici collegati alle cosche e spesso sostenuti da pezzi dello Stato.

L’auto dei suoi assassini lo speronò, Livatino comprese tutto e tentò una disperata, inutile fuga nelle campagne, inseguito dai suoi assassini, armi in pugno. Pochi colpi di pistola, esplosi con freddezza e Rosario Livatino cade a terra. Per sempre.

Giudice Rosario Livatino (Fonte: Wikipedia)
Giudice Rosario Livatino (Fonte: Wikipedia)

Gli esecutori materiali di quel terribile omicidio furono individuati quasi subito. Accadde perché sulla strada transitava, in quel momento, un rappresentante di commercio, Piero Nava. Vide tutto e raccontò alla Polizia: fu il primo testimone di giustizia in Sicilia per un delitto di mafia. Di lì a poco sarebbero arrivati altri esempi importanti, come Piera Aiello e Rita Atria. Piero Nava, da quel momento, non esiste più: ha cambiato identità, ha vissuto in vari paesi. Di recente ha scritto un libro: «Io sono nessuno». Ed ha raccontato di questi trenta anni che hanno cambiato per sempre la sua vita e quella della sua famiglia. Anni difficili ma «senza alcun ripensamento, cosciente di avere fatto esclusivamente il mio dovere» ha dichiarato di recente, in un’intervista al Corriere della Sera.

Tre anni dopo, nella valle dei Templi, Giovanni Paolo II tuonò contro la mafia. Lo sguardo irato del pontefice, la sua mano alzata incisero profondamente nella coscienza dei siciliani, laddove delle zone d’ombra, in alcune realtà dell’entroterra siciliano, avevano sempre provato a saldare, in maniera impropria, la legge del taglione, le vendette, i ricatti, i taglieggiamenti, gli omicidi, con alcuni simboli religiosi. La mafia ha agito sempre così: provando a utilizzare ed a strumentalizzare il potere e la cultura predominante, di piegarla ai suoi scopi. Processioni con riti e gesti mirati, alcuni gruppi border line hanno sempre simboleggiato l’affiancamento ai simboli religiosi. Ma la condanna della Chiesa è netta. E appena tre anni dopo, un prete di frontiera, don Pino Puglisi, venne ucciso ancora dalla mafia. Perché la mafia osteggia la chiesa vera, vuole una chiesa strumentalizzata alle sue logiche di potere. Per Rosario Livatino è già stata avviata la causa di beatificazione. Don Pino Puglisi è già stato proclamato beato.

Rosario Livatino era uno di quei giudici ragazzini, di cui parlò il presidente della Repubblica del tempo, Francesco Cossiga. Ragazzini che reggevano il peso di uno stato talvolta assente. Cossiga precisò poi anni dopo di non aver mai inteso riferirsi a Livatino. Rosario Livatino aveva 37 anni e la sua difesa strenua delle istituzioni e della legalità gli costò la vita.

Il presidente Mattarella nel 30° anniversario della morte di Livatino (Fonte: Ufficio stampa Quirinale)
Il presidente Mattarella nel 30° anniversario della morte di Livatino (Fonte: Ufficio stampa Quirinale)

Rosario Livatino è stato ricordato ieri mattina a Roma nel corso di una celebrazione presieduta dal cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della CEI. «Per lui tutto questo era questione di vita o di morte – ha detto Bassetti –  ma prima ancora di vita vera e di fede limpida. Livatino riuscì a ritrovare una sintesi tra religione e diritto che non appare scontata». Bassetti ha poi ricordato le parole di Papa Francesco che, nel novembre scorso, incontro il Centro Studi intitolato al magistrato di Canicattì: «Rosario Livatino – disse Francesco – ha lasciato a tutti noi un esempio luminoso di come la fede possa esprimersi compiutamente nel servizio alla comunità civile e alle sue leggi; e di come l’obbedienza alla Chiesa possa coniugarsi con l’obbedienza allo Stato, in particolare con il ministero, delicato e importante, di far rispettare e applicare la legge».

Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha partecipato a Palermo alle commemorazioni nel 30° anniversario. Il capo dello Stato  ha partecipato nel pomeriggio al seminario sul tema “Deontologia e professionalità del magistrato”, organizzato dall’Associazione Nazionale Magistrati e dalla Scuola Territoriale di Magistratura di Palermo e dedicato proprio a Rosario Livatino.  Mattarella lo ha ricordato fin dal mattino con una dichiarazione: «Egli ha, tra i primi, individuato lo stretto legame tra mafia e affari – ha detto il Capo dello Stato – concentrando l’attenzione sui collegamenti della malavita organizzata con gruppi imprenditoriali. Consapevole del delicato ruolo del giudice in una società in evoluzione e della necessità che la magistratura sia e si mostri indipendente, egli ha svolto la sua attività con sobrietà, rigore morale, fermezza e instancabile impegno, convinto di rappresentare lo Stato nella speciale funzione di applicazione della legge».

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons