L’esame sulla fede
«Quante volte mi sono inginocchiato spinto dalla convinzione che non dovevo fare altro», un’affermazione sorprendente, in bocca ad un politico e, forse, ancora più provocatoria per il panorama del XXI secolo se a pronunciarla è stato un Presidente americano, Abramo Lincoln.
Un’affermazione ripresa, in piena campagna elettorale da quel Barrack Obama che da quasi quattro anni occupa la stessa Casa Bianca dove abitò Lincoln. Negli States, quindi, la religione non è estromessa dalla politica, ha un suo ruolo che deve, però, essere compreso nella giusta prospettiva del concetto di laicità nord-americano.
La campagna elettorale americana nelle sue battute sempre più coinvolgenti e nelle reazioni che tendono a polarizzare gli schieramenti, sta, infatti, mettendo in luce la differenza della laicità made in USA e da quella della nostra Europa, che, nella maggioranza dei casi si ispira al modello francese, dove la separazione deve essere netta.
Basta scorrere l’intervista – La Repubblica del 22 agosto ne ha riportato ampi stralci – rilasciata dai due candidati alla presidenza degli Usa per capire come il ruolo della religione sia centrale nella corsa alla Casa Bianca. L’intervista a Obama e Romney è stata realizzata dal Cathedral Age, la rivista della Washington National Cathedral, che rappresenta la chiesa simbolo del Paese, «una risorsa spirituale della nostra nazione: – come afferma l’intestazione del sito web della cattedrale più importante d’America – un edificio grande e bellissimo nella città di Washington, un ministero indispensabile per la gente di ogni fede e prospettiva ed un luogo sacro per il nostro Paese nei momenti di celebrazione, crisi e lutto».
Si comprende, quindi, come i due candidati, si siano premurati di dare risposte mirate ed efficaci a domande per nulla scontate e superficiali: “Che ruolo ha la fede nelle vostre vite?” “C’è un passo preferito delle Scritture a cui fate riferimento?” “Come vedete il ruolo della fede nella sfera pubblica?”. Obama e Romney sono stati obbligati ad uscire allo scoperto sia sulla vita religiosa e spirituale personale che sul ruolo che ritengono la religione abbia oggi nella politica del loro Paese.
Fa senza dubbio un certo effetto in Europa sentire un candidato alla presidenza degli USA affermare, come ha fatto il mormone Romney che «la fede è parte integrante della mia vita. Ho servito come pastore laico della mia chiesa. Seguo fedelmente i suoi precetti». D’altra parte al timone del Paese, da quasi un secolo punto di riferimento della storia di questa fase dell’umanità, sta un uomo che non ha paura di ammettere che «alla fine dei conti, è il Signore che ci guida e la mia maggiore responsabilità è amare il Signore con tutto il mio cuore, anima e testa».
Proprio Obama ha ammesso che la sua fede è cresciuta con l’entrata alla Casa Bianca e per questo ha citato la frase del suo predecessore Abram Lincoln, lasciando intendere che lui stesso si è lasciato andare sulle ginocchia per pregare in momenti critici.
Entrambi, poi, ammettano la centralità della religione nelle questioni della sfera pubblica. Pur rimanendo distinti, i due ambiti non sono separati e Romney non teme di «rifarsi ai Padri fondatori per riconoscere il Creatore» mentre il Presidente sottolinea come sia stata «la fede ad assicurare una cornice morale ed un vocabolario alla nostra nazione […] la fede motiva la gente a fare quel lavoro incredibile di solidarietà che aiuta la nostra nazione ad andare avanti».
Proprio nella distinzione fra l’ambito privato e quello pubblico del ruolo della religione sta il centro della differenza con la laicità della nostra Europa, che è sconfinata nella separazione fra religione e politica, fra privato e dimensione pubblica. Sia Romney che Obama hanno sottolineato gli effetti positivi della distinzione, che, tuttavia, riconosce il ruolo dell’altro.
«E’ chiaro che i confini tra Stato e Chiesa – ha dichiarato lo sfidante repubblicano – debbano essere rispettati: ma c’è uno spazio grande in cui le organizzazioni di ispirazione religiosa possono impegnarsi per il bene della comunità in cui servono». I due ambiti, quindi, non devono confondersi ed in questo consiste la laicità di uno stato che non può e non deve essere esclusiva, ma mirare ad un inclusivismo creativo ed operativo.
Lo ricorda l’attuale presidente che riconosce di aver sempre visto «questa partnership come una strada a due sensi. Le comunità religiose spesso conoscono meglio di chiunque altro. D’altra parte, il governo federale ha i mezzi e le risorse che le comunità spesso non hanno».
A prescindere dalle posizioni politiche, si tratta di una lezione importante anche per l’Europa, forse un esame di coscienza su una realtà che politologi e sociologi riconoscono. Godi s back, Dio è tornato, recita il titolo di un best-seller scritto da John Micklethwait, il direttore dell’Economist, un cattolico praticante, e da Adrian Wooldridge, capo della redazione di Washington del settimanale britannico, che si proclama ateo.
Sarebbe importante anche per i politici europei riflettere su questo fatto, che pare, invece, essere ignorato.