Les Misérables
Premio della giuria a Cannes 2019, il lavoro di Ladj Ly, Les Misérables prende il titolo dal celebre romanzo di Victor Hugo per raccontare storie di emarginazione a Parigi, ispirandosi alle rivolte di strada del 2005 nella periferia di Montfermeil.
L’agente Stéphane, trasferitosi qui per seguire il figlio minorenne, lavora con la pattuglia della polizia formata dai colleghi Chris e Gwada. Chris è violento, brutale – «la legge sono io» afferma – invischiato con personaggi ambigui in un quartiere dove imperversa la lotta fra gang per il controllo del territorio. Il furto di un cucciolo di leone da un circo scatena la caccia all’uomo. Chi ne fa le spese è un ragazzino, Hussein, vittima di una non-educazione alla legalità, ingenuo e scaltro. È l’ottica del film: non tanto la rivolta degli adulti contro lo Stato, ma dei ragazzini, delle nuove generazioni cresciute nella povertà e nel non-amore. Agile, spietato, il racconto sull’infanzia e l’innocenza distrutta, sul futuro dei giovani delle periferie “esistenziali” – non solo parigine ma di tutto il mondo perché il racconto è corale – si gioca alla fin fine sul rapporto tra Stephane, poliziotto sensibile, e il ragazzino che arriva al momento drammatico di una storia in cui ciascuno dovrà fare delle scelte che ne condizioneranno la vita.
Momenti commossi si alternano a scontri violenti, voglia di tenerezza a ribellione contro l’ingiustizia, la polizia vista come lo Stato forte contro i deboli ma anche collusa con i prepotenti. Si salveranno i bambini, i ragazzi, i giovani? C’è speranza per loro? È la domanda del film, duro e dolente, dove il poliziotto Stéphane richiama il vescovo del romanzo di Hugo che accoglie il “miserabile” Jean Valjean. La risposta spetta al pubblico, o meglio a ogni persona che vedrà questo lavoro bello di una “bellezza brutta”, e perciò carico di verità.