L’eredità di Tullio De Mauro

Grande la stima dimostrata da tanti italiani per il prestigioso linguista, che difese in vita la lingua italiana e gli insegnanti
Il vice sindaco di Roma Luca Bergamo (d), durante la camera ardente di Tullio De Mauro alla Facolta' di Lettere dell'Universita' La Sapienza di Roma, 6 gennaio 2017. ANSA/GIORGIO ONORATI

È morto a Roma, all’età di 84 anni, il decano dei nostri linguisti e italianisti, Tullio De Mauro. Le migliaia di cittadini che si sono recati a rendergli l’estremo omaggio nella camera ardente allestita nell’aula 1 della facoltà di Lettere dell’Università romana della Sapienza, dove per decenni aveva insegnato, hanno confermato la crescente popolarità e il prestigio goduti negli ultimi 30-40 anni dall’illustre studioso, non solo fra studenti e intellettuali, ma anche presso la gente comune di cultura medio-bassa.

Il motivo principale di questo largo e continuo consenso che ha circondato la figura e il nome di De Mauro sta soprattutto nelle qualità e nel carattere dell’uomo, una persona mite, discreta e gentilissima, un vero signore “vecchio stampo” (non in senso parruccone) dotato altresì di semplicità, senso pratico e concretezza. Un uomo come tanti, per così dire, con cui si poteva chiacchierare amabilmente e trovarsi il più delle volte d’accordo in nome del buon senso, della logica e di quei comuni valori in cui ci riconosciamo, pure da italiani, e che qualcuno chiama tradizione.

Non amava apparire in televisione, quando succedeva il suo tono di voce era a malapena percepibile, parlava solo se richiesto, si guardava bene dall’interrompere chicchessìa e se proprio doveva esprimere un’idea o un parere diverso da quello dei suoi interlocutori lo faceva senza scomporsi, con calma e preferibilmente con un sorriso sulle labbra. Eppur

In una immagine del 2000, Tullio De Mauro, Ministro dell'Istruzione durante il Governo Amato II (25 aprile 2000 - 11 giugno 2001) ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI
In una immagine del 2000, Tullio De Mauro, Ministro dell’Istruzione durante il Governo Amato II (25 aprile 2000 – 11 giugno 2001) ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI

e scienziato lo era eccome, il maggior linguista italiano dopo Antonino Pagliaro (di cui è stato allievo), divulgatore di razza e direi “applicatore” alla realtà italiana delle scoperte e delle teorie linguistiche fondamentali di Ferdinand De Saussure.

De Mauro non era un grafomane, ma ci ha lasciato dei contributi imprescindibili come la Storia della linguistica dell’Italia unita (1963), le Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica (1965), Capire le parole (1994) e soprattutto il Grande dizionario italiano dell’uso (1999). Oggi la lingua italiana da un lato si diffonde, si arricchisce ed è sempre più studiata all’estero, ma dall’altro corre rischi gravissimi di involuzione e imbarbarimento, sotto l’assalto quotidiano dell’ignoranza, dell’improvvisazione, dei neologismi e solecismi di pessimo gusto e infinita stupidità e anche a causa dell’introduzione esagerata e ingiustificata di parole ed espressioni inglesi o comunque straniere.

Questo andazzo a volte squallido, ridicolo, era condannato da De Mauro, che lo attribuiva spesso alla scarsa conoscenza-padronanza dell’italiano da parte di scriventi-parlanti anche noti e titolati. Senza un esperto e “protettore” di tale statura e carisma l’italiano vissuto e quotidiano – parlato o scritto, teleradiotrasmesso o digitale che sia – è da oggi più debole e a rischio. C’è da sperare che salti fuori qualche (legittimo) erede di De Mauro. Non solo come linguista, ma anche come presidente del Premio Strega, che lui aveva reso più dinamico e popolare, e come intellettuale di sinistra, quale De Mauro fu con coerenza culturale ma anche con buon senso, moderazione, onestà, pragmatismo e senza rigidità ideologiche.

Infine un buon erede di Tullio De Mauro ci vorrebbe anche come ministro della Pubblica istruzione. Perché fu anche questo, a cavallo del 2000, nel governo Amato, e difese scuola e insegnanti con un vigore e una convinzione che nessuno a quel posto aveva né avrebbe mai più dimostrato. Diceva, testualmente, che era ora di finirla con le “paghe da fame” agli insegnanti, se davvero si voleva una “buona scuola”, per dirla con l’espressione impostasi di recente. Ma, allora come ora, Tesoro e Presidenza del Consiglio risposero picche a De Mauro e ai professori. Sarà per questo che dopo appena qualche mese a viale Trastevere il ministro-linguista si dimise?

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