L’eredità di Rossana Rossanda, la ragazza del secolo scorso
Dopo Luigi Pintor, Luigi Magri e Valentino Parlato, morti nel 2003, 2011 e 2017, ci ha lasciato pure lei, Rossana Rossanda, la mitica intellettuale, politica e scrittrice comunista che con loro aveva fondato il gruppo politico, poi periodico e infine quotidiano “il Manifesto”, nel 1969. “La ragazza del secolo scorso”, come lei stessa si presenta nel titolo della sua autobiografia (2015), è morta a Roma la notte fra sabato 19 e domenica 20 settembre, all’età di 96 anni. La figura femminile più nota, discussa e tra quelle di maggior spessore del mondo comunista italiano, seconda forse per popolarità solo a Nilde Iotti, era nata a Pola, nella Croazia italiana, il 23 aprile 1924. Figlia di un notaio e imprenditore rovinato dalla crisi del ’29, si trasferì a Milano e studiò al liceo classico Manzoni, maturandosi con un anno di anticipo. Seria, studiosa e intellettualmente dotata, frequentò con profitto la facoltà di filosofia dell’Università di Milano, dove si laureò con l’illustre filosofo marxista Antonio Banfi, di cui divenne allieva. Poco più tardi ne sposò il figlio, Rodolfo, separandosene dopo pochi anni. Il secondo matrimonio, con il giornalista ed esule ebreo polacco Karol Kewes, sarebbe invece durato fino alla morte di lui, a Parigi, dove la coppia viveva, nel 2015.
E’ evidente che la prima fondamentale esperienza culturale della Rossanda fu la formazione filosofico-intellettuale avuta da Banfi, d’impronta razionalista e marxista. Il teorico brianzolo era pure un pensatore impegnato e aperto al sociale, e in questa scelta e attitudine a coniugare la cultura con l’impegno per la giustizia e i valori etico-politici il maestro esercitò una decisiva influenza sugli interessi e la forma mentis dell’allieva. Erano i primi anni ’40, c’era la guerra e la Resistenza, e la studentessa modello, piena di dottrina, di fede e di entusiasmo, si impegnò tra le file dei partigiani. Aderì al partito comunista, dopo la guerra continuò la militanza politico-culturale e nel ‘56 entrò nella segreteria del PCI. Apprezzata dai dirigenti comunisti per il rigore e la profonda cultura, fu segnalata allo stesso Palmiro Togliatti, che la nominò responsabile culturale del partito. Per due volte, nel 1963 e nel 1968, fu eletta alla Camera dei Deputati.
Fin qui la Rossanda ortodossa, tutta biblioteca della Camera e Botteghe Oscure. Poi arrivò il ’68, degli studenti, degli operai e della Cecoslovacchia, e questa specie di epopea libertaria e progressista la segnò come un nuovo Banfi. Banfi e il ’68 furono le due scuole di Rossana Rossanda. E in fondo non solo le sue, visto che non da sola ma insieme ai tre personaggi nominati all’inizio – e a tanti altri anonimi, per non parlare del popolo comunista, che in qualche misura li seguiva – fondò, all’interno del PCI, una corrente antiburocratica e antisovietica, che quei coraggiosi pionieri chiamarono “il Manifesto”. E che, come si è detto, dopo esser stata corrente politica diventò con lo stesso nome nel ‘71 un periodico politico-culturale e 10 anni dopo un quotidiano, tuttora in edicola ad oltre mezzo secolo dalla nascita del gruppo dissidente.
La Rossanda e gli altri furono dichiarati “eretici” dai dirigenti del PCI e vennero espulsi dal partito perché giudicati “frazionisti”. Lei non si arrese, non ritrattò e continuò l’impegno politico per lunghi anni all’interno delle successive formazioni a sinistra del PCI. La posizione della Rossanda era frutto da un lato dell’indignazione ingoiata fino allora dopo le invasioni-repressioni in Ungheria e in Cecoslovacchia, dall’altro della piena adesione agli ideali sessantottini, come lei stessa dichiarò in un saggio, L’anno degli studenti. A ciò si unì una severa critica e condanna del socialismo reale, specie davanti al trattamento duro e alle violenze subite dai dissidenti, da Sacharov a Solgenitsin, per citare i più noti.
Rossana Rossanda fu dunque un precursore, un profeta. Del crollo del muro di Berlino, della fine dell’impero sovietico, della liquidazione del PCI alla Bolognina ad opera di Achille Occhetto, della nascita del Partito Democratico promossa soprattutto da Valter Veltroni. Inoltre destò una grande risonanza (facendo inalberare Macaluso su “l’Unità”) quando scrisse che i volantini delle Brigate Rosse le sembravano foto di un album di famiglia, perché improntate a un “puro veterocomunismo”, così si espresse. Lo stesso che, aggiungiamo noi, negli anni ’50 era di tutto il PCI, allora stalinista senza se e senza ma. Nessuno vuol dipingere “santini”, ma non si può non vedere in questa figura rappresentativa di una lunga e tormentata stagione politica, non solo in Italia, un modello di coraggio e di coerenza, le virtù che oggi mancano quasi del tutto ai politici d’ogni colore. Ed è giusto ricordare anche la serietà e la signorilità di Rossana Rossanda. Una persona di stile, lontana anni luce dalla volgarità dilagante.