L’eredità di Rauschenberg
Quando nel ’52, molto precocemente, Robert Rauschenberg realizza con John Cage quello che è stato definito il primo happening della storia, pochi lo conoscono e pochi sono pronti a scommettere sul nuovo tipo di linguaggio: happening, cioè accadimento. L’arte scende dal cavalletto e dal piedistallo per invadere il mondo reale. Oggi, all’età di 82 anni, il maestro viene salutato come il battistrada che ha aperto la via dell’arte ai soggetti comuni, quotidiani, nonché ai linguaggi che diverranno le pratiche più insistite dall’arte per oltre mezzo secolo. Il suo pallino è sempre stato quello di abbattere gli steccati che separano l’arte dalla vita reale. In barba all’arte informale, che nella sua assenza di immagini sondava le profondità esistenziali dell’essere umano, Rauschenberg ribalta la prospettiva ricercando quella stessa dimensione esistenziale proprio a partire dalle immagini; non quelle auliche o altamente simboliche, ma quelle dei giornali, dei manifesti pubblicitari, che popolano la quotidianità della gente comune. Ancora oggi le sue opere, pur nelle figure ormai datate, mantengono intatto il vitalismo e la modernità di chi ha voluto a tutti i costi sfidare la consuetudine pittorica in favore di un’at tualissima quotidianità. Una sfida sostenuta da una lucida presa di coscienza: Il passato non esiste, così come l’avvenire che è una supposizione. Sono nel presente. Cerco di celebrare il presente nei miei limiti ma utilizzando tutte le mie risorse. È così che le immagini moderne, riportate tali e quali dalla rivista patinata alla tela, si vedono presto affiancare da materiali ed oggetti veri e propri come stoffe, cassette da imballaggio, palline da baseball, gomme di motocicletta, animali impagliati e ancora altro. Nascono i combine-paintings, assemblaggi sempre più reali ed invadenti che la parete fatica a trattenere; è troppo forte l’urgenza e l’abbondanza di vita di cui l’opera si fa portatrice e rivelatrice. Quasi ad una rivelazione allude John Cage, che vede nelle opere dell’amico e collega la possibilità di riscattare anche gli aspetti apparentemente meno nobili della quotidianità: La bellezza sta ora nascosta ovunque ci prendiamo la briga di guardare. Il fatto è che immagini e oggetti, di per sé resi banali dall’uso, emergono dalla pittura e dal collage con prepotenza, riaffermando la propria dignità e il proprio potere evocativo. Allo spettatore è posta un’importante alternativa di sguardo: riscattare le tracce della propria esistenza perse nell’ambiente urbano. In bilico fra la produzione industriale e lo spreco che ne consegue, fra gli oggetti smaltati di fresco e il rapido abbandono della merce logora, gli oggetti nelle opere di Rauschenberg conservano la memoria di un vissuto che sembra non voler finire. In quegli assemblaggi cose, immagini e pennellate continuano a vivere mostrandoci la possibile ricomposizione di una realtà urbana di cui anche l’uomo fa parte. La portata di questo messaggio non sfugge agli artisti che, senza attendere una distanza temporale che renda più oggettiva ogni valutazione, non esitano a definirlo subito un maestro. Ma il tempo ha reso loro giustizia: Robert Rauschenberg ha aperto la strada ai soggetti industriali della pop art, alla pratica della performance che esploderà negli anni Settanta, a tutte le tendenze artistiche che mirano in primo luogo a collegarsi senza mediazione al mondo reale per celebrarne la vita. Un messaggio non scritto che, come un testamento, continuerà a gridare dalle opere superando l’esistenza terrena dello stesso artista: forme, oggetti e colori per celebrare la straordinaria bellezza della vita.