L’eredità di don Giussani
Due parole dicono fra tutte l’ispirazione che ha investito il cuore e la mente di don Luigi Giussani, dando vita a quel vasto e multiforme movimento di esperienza e testimonianza cristiana che, lungo gli anni, ha preso il nome di Comunione e Liberazione: avvenimento e presenza. Gesù Cristo non è un’idea ma un fatto, l’incarnazione dell’amore di Dio che diventa principio di una storia nuova. Una volta entrato nell’esistenza degli uomini, egli non se ne allontana più, ma attraverso la chiesa continua a rendersi presente interpellando la nostra libertà con la proposta di un’umanità piena, realizzata nel dono di sé e nella comunione. Di qui, in Giussani, una passione travolgente: trasmettere ai giovani questo dono più d’ogni altro decisivo, affinché essi stessi lo vivano da protagonisti. In un tempo in cui il mondo della cultura occidentale porta alle estreme conseguenze il processo di disintegrazione del tessuto cristiano della società ereditato dal passato, e mentre la chiesa, nonostante le correnti di rinnovamento che portano al Vaticano II e da esso scaturiscono, fatica a sperimentare e a rendere percepibile la fede come realtà che incontra l’esistenza e la trasfigura, don Giussani s’impegna così a costruire con tenacia un metodo educativo integrale. Il quale non solo porta decine di migliaia di giovani all’incontro con Cristo, ma di quest’incontro fa la misura e lo stile di una presenza culturalmente consapevole e incisiva nella scuola e nell’università, nel mondo della famiglia e del lavoro, nella società civile e nell’impegno politico. Una presenza che è potuta apparire, talvolta, persino intemperante, ma che senz’altro ha contribuito a interrogare e risvegliare le coscienze. Figlio della chiesa ambrosiana aperto alle sollecitazioni filosofiche e teologiche più produttive ed efficaci del Novecento, grande estimatore del patrimonio umanistico espresso dall’arte e dalla letteratura cristiana di tutti i tempi, Giussani vive la chiesa come tradizione dell’evento di Gesù Cristo che diventa storia di un popolo. Perché una fede che non si fa cultura – come dirà Giovanni Paolo II – è una fede non pienamente accolta né pienamente vissuta. In tal modo, seguendo un’ispirazione originale, Giussani ha contribuito in modo importante, insieme ad altri grandi testimoni del rinnovamento ecclesiale degli ultimi decenni, alla riscoperta della chiesa come movimento immesso nella storia dell’umanità da Gesù e continuamente rilanciato dall’impulso creativo dello Spirito Santo. Ciò cui miriamo – egli scrive – è il riconoscimento – poiché tale è la fede – della presenza del mistero di Cristo fra gli uomini, che ha una sua profondità insondabile, ma che trova un suo segno visibile nell’unità dei credenti. Questa unità, misteriosa e reale, deve tradursi visibilmente e manifestarsi come tale nelle contingenze della vita dell’uomo. Essa cercherà di trovare visibile espressione innanzitutto nel portare gli uni i pesi degli altri, nell’attenzione e nel perdono vicendevole. Ma si esprimerà anche come ideale, tendenzialmente operato, di una genesi comune del giudizio non solo sulla propria vita, ma anche sui contenuti culturali, sociali e politici dell’esistenza comune, della vita civile. È questa l’eredità che don Giussani lascia a Comunione e Liberazione e a tutta la chiesa: l’esigenza, oggi, di un metodo vissuto e condiviso per vivere in Cristo la realtà del mondo e del suo destino. La Pentecoste del ’98, con il grande incontro dei movimenti ecclesiali voluto da Giovanni Paolo II in piazza San Pietro, ha offerto un’immagine inedita e promettente di chiesa come di un giardino a primavera, arricchito d’innumerevoli fiori, colori e profumi. Di lì, nel rispetto e nella valorizzazione della propria identità e in comunione con la chiesa universale e le chiese locali, è iniziato un cammino di reciproco riconoscimento nella testimonianza del Vangelo e nel servizio agli uomini. Don Giussani amava ripetere, con lo stupore di un fanciullo: Non riesco a non essere entusiasta di ciò che Dio mi ha fatto toccare, sentire e incontrare. È questo l’entusiasmo che continua a trasmetterci nella fedeltà a scrivere insieme, ciascuno per la sua parte, quella pagina nuova nell’esperienza della chiesa e dell’umanità per cui egli, con straordinario frutto, ha dato la vita. HO INCONTRATO UN SANTO Di mons. Giussani ho un ricordo che non si cancellerà mai. Avevo avuto con lui un colloquio personale a Milano, nel novembre 1998, poco dopo quello storico incontro dei movimenti con il papa in piazza San Pietro, la vigilia di Pentecoste di quell’anno. È una delle poche volte che ho avuto l’impressione di incontrare un santo, una santità conquistata con non poche sofferenze. Forte poi un’altra impressione che ho ripetuto ai suoi collaboratori: Ho incontrato un carisma autentico. Il papa, in quella vigilia di Pentecoste, ci aveva chiesto comunione ed impegno. Era per questo motivo che mi ero recata a Milano. Quell’incontro era stato per tutti noi, come mons. Giussani ha poi scritto anche in una lettera alla sua fraternità, la giornata più grande della nostra storia. E aggiungeva: L’ho detto anche a Chiara e a Kiko, che avevo di fianco in piazza San Pietro: come si fa, in queste occasioni, a non gridare la nostra unità? La nostra responsabilità è per l’unità, fino a una valorizzazione anche della minima cosa buona che c’è nell’altro. Da allora non sono mancate le occasioni per crescere nella conoscenza reciproca e nella comunione, sia personale che come movimenti, in Italia e in altri paesi. Nel cuore mi resta un’ immensa gratitudine per la sua vita spesa senza risparmio a servizio di un carisma che ha immesso nella chiesa una nuova corrente di intensa vita spirituale, spalancando a migliaia e migliaia di uomini e donne del mondo l’incontro personale con Gesù e suscitando tante opere concrete in risposta alle attese del nostro tempo. Ora la mia, nostra preghiera è non solo per lui, ma per la sua Opera, nella certezza che porterà nuovi abbondantissimi frutti dello Spirito.