L’era della plastica

Un progetto dell'Università di Vigo prevede l'uso dei droni per identificare che tipo di residui arriva alle coste, i punti dove più si concentra e in quale epoca dell’anno, differenziando tra la spazzatura dovuta all’attività umana in terra e quella che arriva dal mare

Impressionanti e preoccupanti le immagini che ogni tanto ci mostrano le grandi masse di residui galleggianti nelle acque degli oceani. Si calcola che solo il Pacifico accumula 87 mila tonnellate di residui: bottiglie di plastica, giocatoli, pezzi di elettrodomestici, reti da pesca, milioni e milioni di piccoli frammenti che le correnti marine impastano in certe coordinate nautiche. E il Mediterraneo non si salva da questa «malattia» dell’era della plastica. I più cauti parlano di oltre 1.400 tonnellate di residui, altri invece (ecologisti soprattutto) puntano sulle 20 mila tonnellate, aggiungendo forse categorie diverse di spazzatura, e non solo quella galleggiante.

È di questi giorni la notizia sull’impegno globale per sradicare l’inquinamento da plastica, firmato a Bali (Indonesia) il 29 ottobre, con la partecipazione non solo dei governi e le Ong ecologiste, ma anche dei grossi produttori di plastica. Tra i firmanti pure grosse aziende che utilizzano il 20% di tutti i contenitori di plastica prodotti in tutto il mondo (Danone, Gruppo H&M, L’Oréal, Mars Incorporated, PepsiCo, The Coca Cola Company, Unilever). Il direttore esecutivo dell’ambiente delle Nazioni Unite, Erik Solheim, ha affermato in quest’occasione che «la spazzatura marina è un esempio visibile e inquietante della crisi d’inquinamento da plastica», e incoraggia, quasi in supplica, a «lavorare contro questo problema globale».

Un’originale iniziativa privata in questo impegno ecologico per pulire le acque e le spiagge l’ha proposta di recente un gruppo di professori dell’Università di Vigo (Spagna). Si tratta del progetto LitterDrone, finanziata dalla Commissione europea. L’obiettivo ultimo di questo progetto pilota è creare un metodo di lavoro per identificare più facilmente i residui nelle coste europee mediate l’uso di droni. Con le immagini ad alta risoluzione ottenute e mediante software specializzati, si potrebbe precisare che tipo di residui arriva alle coste, i punti dove più si concentra e in quale epoca dell’anno, differenziando tra la spazzatura dovuta all’attività umana in terra e quella che arriva dal mare. Il direttore del progetto, Fernando Martín, professore di Telecomunicazioni all’Università di Vigo, crede che l’informazione ottenuta con questo metodo sarà utile per gli organismi che dovranno disegnare e stabilire protocolli per combattere il problema. Più avanti, con lo sviluppo di questa tecnologia e secondo i risultati nella prima fase del progetto, si potrà anche intraprendere altre possibilità per fare il rilevamento dell’immondizia galleggiante in mare aperto, eppure nell’ambiente sottomarino.

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