L’era dei bulli, non solo sui dazi
«Se vuoi avere la meglio in un contrasto, sferra il primo pugno, fa più male perchè l’altro non se l’aspetta».
Questa logica da teppista di strada, sembra ormai diventata cultura diffusa; non sempre il primo pugno è fisico, spesso è invece rappresentato dall’offesa, dalla irrisione affibbiando un nomignolo all’avversario, che spesso purtroppo si sente obbligato a rispondere per le rime, ed il tutto diventa spettacolo: addirittura esistono trasmissioni che vivono sull’insulto reciproco, come quella della Zanzara ospitata addirittura dalla radio della Confindustria!
La tecnica del primo pugno purtroppo viene utilizzata e giustificata nei modi più diversi, in questi ultimi anni avviene sempre più anche nei rapporti tra nazioni.
Un pugno lo si è sferrato all’Iraq con la scusa di inesistenti armi di distruzioni di massa, alla Crimea per difendere diritti mai violati dei residenti di lingua russa, alla Libia a favore di una inesistente primavera araba per eliminare quel Gheddafi che aveva rinunciato all’atomica ed alle armi chimiche, ma ahimè stava per lanciare una moneta panafricana che avrebbe vanificato l’influenza francese nell’africa occidentale.
Ci si abitua a tutto, dimenticando l’aggressione turca nella Siria del nord verso quei curdi che la avevano liberata dall’Isis, ed anche passando sotto silenzio il recente massacro dei palestinesi di Gaza da parte di Israele.
I bulli sembrano avere mano libera, anche la Cina costruisce aeroporti militari su isolette molto vicine alle coste di altre nazioni; in questo contesto arriva ad avere una qualche giustificazione il dittatore della Corea del Nord, che, considerata la fine che hanno fatto i capi si stato che alle armi di distruzione di massa avevano rinunciato, ha pensato bene di fornirsene.
Sembra che il mondo abbia completamente dimenticato che da simili atti di sopraffazione sono nate le due guerre mondiali: allora erano stati Hitler e Stalin ad invadere Austria, Cekia e Polonia, sempre con la scusa di difendere i loro concittadini che vi abitavano.
Dal fiume di sangue dei milioni di morti di allora era nato l’ONU, un posto in cui le nazioni piccole e grandi possono confrontarsi per evitare la prima sopraffazione, un ambito che per molti anni ha funzionato, gestito da persone che per evitare nuove guerre sono arrivate a dare la vita; l’aereo del segretario dell’ONU Dag Hammarskjöld, economista svedese è stato abbattuto in Africa durante una missione di pace. Purtroppo l’ONU oggi sembra aver perso vigore perché poco sostenuto dalle grandi nazioni.
Dalla seconda guerra mondiale nasceva la Comunità Europea, il fiore più bello del ventesimo secolo, il miracolo di una casa comune aperta a chiunque ne condivida i valori, in grado di impedire per settanta anni ogni conflitto fra quanti ne hanno fatto parte; una casa apprezzata in particolare dai giovani che grazie al suo progetto Erasmus riescono a studiare in diverse università europee imparando a conoscersi ed a diventare per prima cosa cittadini europei.
Quale è la ragione di questa nuova barbarie culturale che ammorba le nazioni più prospere? Dopo la caduta del muro di Berlino, l’economia di mercato con la globalizzazione ha saputo riscattare dalla fame due miliardi di persone, ma la libertà dei movimenti di capitale che ha messo in competizione i lavoratori delle nazioni sviluppate e quelle in crescita, offrendo alle multinazionali la possibilità di eludere le imposte degli stati pur usufruendo dei loro servizi; questo ha provocato una grande concentrazione della ricchezza prodotta dalle nazioni nelle mani di pochi, privando la maggioranza dei cittadini della speranza di migliorare la loro condizione: senza un futuro migliore, in numero sempre crescente questi hanno reagito democraticamente scegliendo quanti si ponevano come alternativa alle classi dirigenti.
Ne è un esempio la scelta degli inglesi contro il governo, che li ha portati ad uscire dalla comunità europea, la scelta degli ungheresi e dei polacchi di governi autoritari chiusi alla solidarietà, la scelta delle classi operaie e contadine degli Stati Uniti di votare un ricco imprenditore, grazie alle sue promesse di difenderli dalla concorrenza dei più poveri, interni ed esterni.
Anche gli italiani hanno seguito questo movimento epocale di rivolta contro chi gestiva la cosa pubblica, affidandosi a due forze diverse e tra loro sotto molti aspetti contrastanti; ne è nato un governo tenuto insieme dall’inebriante possibilità di esercitare comunque il potere.
Un governo che viene definito “populista”: esso però va rispettato ed anche aiutato a funzionare, perché è nato democraticamente, occorre vincere la tentazione di sedersi sulla riva del fiume per vedere passare il cadavere del nemico: è un governo fatto da persone per bene, certamente intenzionate a dimostrare di meritare i voti che hanno ricevuto: adesso però devono passare dalle enunciazioni ai fatti concreti e purtroppo buona parte delle promesse della campagna elettorale comportano aumenti di spesa pubblica, che non può essere aumentata per l’enorme debito pubblico ereditato dal passato.
La presenza nel governo di economisti che vogliono una modifica delle regole comunitarie dell’area Euro di per sé non è negativa: essi potrebbero sostenere con forza la Francia che chiede un ministro del tesoro comune e finanziamenti della comunità per grandi investimenti strutturali e spese della comunità: ma per poter essere davvero di aiuto, l’Italia deve deliberarsi un bilancio di spesa inattaccabile, per ritrovare la fiducia di tutti.
Al governo convivono persone provenienti da esperienza di destra e di sinistra: la qualità della loro politica sarà rivelata dalle scelte economiche, in pratica dove troveranno le risorse per realizzare quanto promesso: se si elimineranno le detrazioni fiscali per ridurre dal 40 al 20% le imposte sui più abbienti, vorrà dire che saranno i meno abbienti a pagare al posto dei ricchi.
Yunus, l’economista Nobel per la Pace che ha sottratto dalla povertà nove milioni di donne del Bangladesh, interpellato sul reddito di cittadinanza, lo ha definito una misura assistenziale demotivante: se per erogarlo si lascerà aumentare l’Iva, vorrà dire che nuovamente lo pagheranno con i loro consumi tutti i cittadini, anche i più poveri.
L’ultimo “pugno” del bullo, in ordine di tempo, è costituito dai dazi americani estesi all’Europa su acciaio ed alluminio: è un pugno che Trump sferra al volto della Germania e dei Paesi che producono componenti dei prodotti che essa esporta, cioè Italia ed est Europa; a qual fine è stato sferrato?
Potrebbe essere un modo rozzo, proprio da bullo, di cercare di convincere l’Europa di togliere il blocco sanitario alla importazione di carni americane gonfiate di ormoni ed ai cereali OGM, che l’Europa rifiuta da sempre: ai dazi americani sapremo sopravvivere, magari reagendo in modo appropriato, speriamo che a nessuno venga in mente invece di negoziare in merito!