L’equilibrio precario della vita

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Dare la precedenza a chi viene da destra, la collusione tra grandi imprese, darsi un appuntamento in un luogo affollato, la corsa agli armamenti, le strategie riproduttive dei cervi, la difficoltà a ratificare gli accordi internazionali sulla tutela dell’ambiente, il calo delle percentuali dei votanti nelle democrazie mature, e la lista potrebbe continuare per molto ancora… Tutte queste attività hanno un punto in comune: possono essere studiate dalla teoria dei giochi, una branca della matematica che costituisce oggi l’ossatura della teoria microeconomica, attraverso il concetto di “equilibro di Nash”. Strano? Ma vero! Abbiamo un tale equilibrio quando, avendo operato una scelta, immaginando tutte le possibili scelte, presenti e future, delle persone che interagiscono in quel momento con noi, decidiamo che la scelta fatta è la migliore in assoluto. Tale scelta allora sarà una “strategia Nash”. Se tutti adottiamo una simile strategia, determiniamo un equilibrio di Nash. Un insieme di strategie ottimali che non ci farà cambiare idea. Ma forse non conviene insistere troppo su questo punto. Vorrei infatti, in queste pagine, parlare sì, di Nash, ma l’uomo, non l’equilibrio. L’occasione è offerta dall’uscita del film A Beautiful Mind che racconta la sua vita, interpretato da Russell Crowe, che pare abbia fatto carte false per ottenere la parte. E si, perché la vita di John Nash, prima genio della matematica, eccentrico rubacuori, professore nella stessa università di Einstein e Goedel, poi impresentabile marito, schizofrenico internato, vagabondo visionario e poi ancora, in precario equilibrio, premio Nobel per l’economia di nuovo ai vertici di una carriera che sembrava spezzata, è proprio una vita da film… si sarebbe detto “da romanzo”, una volta, ma i tempi cambiano anche per i miti. John Forbes Nash Jr. è un giovanotto della provincia americana, strano, solitario, ma con una spiccata predilezione per i problemi difficili, che impara a risolvere, e non smetterà mai di farlo, attraverso strade del tutto personali. Una predilezione ed un talento che lo porteranno nel 1950, a soli ventun anni, a concludere il dottorato con una tesi, scritta in sei settimane, che in poche paginette rivoluzionerà l’allora nascente teoria dei giochi. L’idea era semplice e, dirà un amico di Nash “capivo che sarebbe valsa un bel dottorato, non capivo ancora che sarebbe valsa un Nobel”. E infatti da allora la teoria, sotto l’impulso di questo e altri risultati, si è sviluppata ad un punto tale che dall’economia, campo principale d’applicazione, ha tracimato sulle scienze politiche, sulla sociologia, sulla bio- Olympia logia evolutiva e sull’informatica, per dirne solo alcune. L’idea di fondo è quella di analizzare e prevedere i comportamenti delle persone, non uno alla volta in isolamento, ma tutti insieme e contemporaneamente, in modo da cogliere gli effetti delle influenze reciproche, delle aspettative che ci creiamo sugli altri e di come reagiamo a tali congetture. Nash, con il suo precoce lavoro, riesce a dimostrare che sempre, sempre, per qualsiasi tipo di situazione, per quanto complessa possa essere, esiste una soluzione, un equilibrio di Nash appunto. Tale soluzione assume che i soggetti posseggano un elevato livello di razionalità; quella stessa razionalità che per esempio un matematico di valore utilizza come metodo d’indagine, quella stessa razionalità che alla soglie dei trent’anni, John Nash vedeva evaporare nell’ombra della malattia mentale. Una grave forma di schizofrenia paranoide che lo indurrà a credere, di volta in volta, di essere in comunicazione con esseri provenienti da un’altra galassia, di essere al centro di un complotto per rovesciare il mondo libero e democratico, a fuggire in Europa e a far perdere le sue tracce per mesi e mesi. Lunghi ricoveri coatti, terapie a base di elettroshock, trent’anni di buio. Nash diventa una specie di fantasma che si aggira per il campus di Princeton, l’università che lo aveva consacrato come il più promettente talento della sua generazione, senza nessun apparente scopo, se non quello di seguire il filo immaginario dei suoi pensieri. La comunità scientifica internazionale lo dimentica, molti lo pensano morto, una cometa, che passa… e poi, dopo trent’anni, riappare. La nebbia, piano piano, come in una nuova mattina di sole, si dirada. Lentamente inizia ad accorgersi che è circondato da persone, le saluta, risponde, e poi ricomincia a fare matematica, scrive ai colleghi e con questi discute… come se niente fosse stato… forse. Nash oggi, con grande pudore, non parla di quegli anni e, nonostante sia assolutamente raro che un matematico possa dare grandi contributi dopo i cinquant’anni, spera, “avendo avuto una sorta di vacanza durata più di 25 anni, essendo quindi la (sua) una situazione “atipica”, di poter ottenere ancora qualche risultato di valore”. Nel 1994, dopo lunghe e discrete indagini per appurare il suo stato di salute, la reale accademia delle scienze svedese gli assegna, con altri due teorici dei giochi, il premio Nobel per l’economia. E la storia di John Nash inizia a fare il giro del mondo. Una storia da film. Ma in questo film ci sono anche alcuni attori non protagonisti degni dell’oscar. È difficile capire le ragioni della guarigione di Nash, ma certo è innegabile che ad essa abbia contribuito più di qualsiasi altra cosa l’amore concreto della moglie Alicia. Senza di lei probabilmente la storia sarebbe andata a finire in un modo molto diverso. Alicia è stata accanto al marito durante gli anni belli e quelli brutti, quando produceva teoremi che destavano la meraviglia e l’ammirazione dei colleghi e quando in preda al delirio spariva all’estero per mesi e mesi e veniva rimpatriato tramite le ambasciate in stato di incoscienza o peggio. Con il coraggio che nasce un po’ dall’amore un po’ dalla disperazione Alicia aiuterà il mistero del marito a disciogliersi in una nuova tranquilla serenità. La vicenda di Nash si svolge quasi tutta sullo sfondo dell’università di Princeton, un luogo dove se ti comporti stranamente sei considerato speciale, mentre altrove, in genere, se ti comporti stranamente sei considerato solo un diverso. Sono in molti ad essere convinti che la vicinanza umana, la solidarietà e il calore con cui gli amici di Princeton, discretamente hanno circondato i Nash, abbia avuto in impatto benefico sulla remissione di John dalla malattia. O, come dice con grande semplicità la signora Nash, “è stata solo questione di vivere una vita tranquilla”.

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