Coronavirus: l’epidemia vista dall’Asia

Wuhan, la città cinese più colpita dal virus, è un fiore all’occhiello nell’innovazione biotecnologica, con mezzo milione di studenti universitari. La paura del contagio e le dure misure di prevenzione. Una testimonianza da Taiwan
Coronavirus, misure contro il contagio in Cina. (AP Photo/Ng Han Guan)

Virus e malattie epidemiche potrebbero avere origine in un Paese, ma in realtà possono non avere né nazionalità né indulgenza. Il coronavirus COVID-19 si è scatenato nella città cinese di Wuhan, ma oggi il mondo intero condivide la sua minaccia nella perdita di vite umane, nei danni all’economia e in tutte le ricadute sociali conseguenti.

Lo sviluppo di questa epidemia avrà un impatto sul mondo e potrebbe rimodellare le relazioni della Cina con il mondo esterno. C’è da aspettarsi una rapida revisione delle catene di approvvigionamento, in quanto uno dei principali produttori, la Cina, è parte integrante di quasi tutti i settori dell’economia mondiale e contribuisce per circa il 30% del valore complessivo nella produzione di beni.

L’epicentro Wuhan è l’ottava città più grande della Cina con circa 11 milioni di abitanti. È dove Mao Zedong, allora 72enne, nel 1966, nuotò nel fiume Yangtze in una dimostrazione di salute vigorosa poco prima dell’inizio della Rivoluzione Culturale.

Lo slogan “vivibilità” nutre il senso di comunità. Le autorità di Wuhan hanno ambizioni di creare una Città del futuro, basandosi sulla storia. Durante gli ultimi anni della dinastia Qing (1644-1911), un importante funzionario, Zhang Zhidong, ha usato Wuhan come base per modernizzare gli eserciti e le industrie cinesi traendo beneficio dalla tecnologia occidentale.

Oggi Wuhan è al secondo posto dopo Beijing, nel dominio di alta istruzione e tecnologia; è conosciuta come la valle dell’ottica cinese. La zona, nei pressi di un grande lago di acqua dolce sul lato est della città, è sempre stata un hub di trasporto nazionale e internazionale. La prima linea della metropolitana è stata aperta nel 2012 e oggi Wuhan ha nove linee, con un trasporto giornaliero di oltre 2,2 milioni di persone. Inoltre ha un’area di industria biotecnologica, oltre a un centro industriale di produzione e ricerca in optoelettronica.

Ci sono almeno mezzo milione di studenti universitari provenienti da tutto il mondo e college. Offrendo alle aziende costi di affitto e manodopera più bassi, Wuhan ha attratto 3.500 start-up di imprese per i giovani imprenditori.

Ora Wuhan è stata blindata per ridurre la mobilità dei cittadini ed evitare un’ulteriore diffusione del contagio. Un provvedimento senza precedenti: chiudere al mondo una città che ha lo stesso numero di abitanti del Belgio o del Portogallo, e più di quelli di Austria o Svizzera. Non è mai avvenuto nella storia moderna.

Certamente non si può negare l’errore che il governo ha commesso nascondendo le informazioni al pubblico all’inizio, minimizzando la gravità del virus alla vigilia delle vacanze del Capodanno lunare, limitando gli sforzi di mitigazione, quindi aggravando la diffusione della malattia.

Nell’era di internet e telefoni cellulari, un completo blackout di informazioni non è solo impossibile ma anche controproducente. Una cosa che abbiamo imparato dalle varie crisi su scala mondiale è almeno la necessità di divulgare informazioni convalidate in modo tempestivo, aumentando la cooperazione e la solidarietà internazionale.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) si è attivata per fronteggiare un’escalation dell’epidemia con trasmissioni comunitarie di massa, assicurando che gli strumenti e i materiali di protezione fossero disponibili per gli operatori sanitari in prima linea e gli operatori di assistenza primaria che ne hanno maggiormente bisogno.

Inoltre, il provvedimento è di aiuto ai Paesi che stanno incontrando difficoltà nella diagnosi del coronavirus a causa della mancanza di laboratori o della fornitura insufficiente di kit di test. Ricercatori sanitari di tutto il mondo stanno facendo una corsa contro il tempo per testare l’efficacia di un farmaco antivirale chiamato remdesivir.

Davvero è incredibile la costruzione di due ospedali temporanei con edifici prefabbricati in 10-15 giorni! Si basano sulla sperimentazione di un ospedale simile costruito a Beijing per combattere la SARS nel 2003. Probabilmente solo un Paese come la Cina poteva superare la burocrazia e i vincoli finanziari mobilitando tutte le risorse, con 7000 falegnami, idraulici, elettricisti e altri specialisti, lavorando 24 ore su 24.

Ora i due ospedali con 2.600 letti sono in funzione, gestiti da circa 1.400 medici dell’esercito e volontari inviati a Wuhan. Molti medici e operatori hanno partecipato alla missione dell’ospedale Xiaotangshan durante la SARS, e molti hanno assistito la Sierra Leone e la Liberia nella lotta contro l’epidemia del virus Ebola.

Una crisi di questa portata ha bisogno di una gestione comunitaria; ciò non è necessariamente legato al sistema politico o alle differenze culturali, è prima di tutto una necessità umanitaria. Se la chiusura dei propri confini è necessaria per emergenze estreme, oramai è in corso e si intravede una inevitabile migrazione di massa: serve un’ingegneria sociale e insieme un’operazione culturale in vista di un nuovo ordine del mondo.

In questo periodo critico capita che il mondo abbia paura degli asiatici, gli asiatici hanno paura dei cinesi, i cinesi hanno paura degli abitanti di Wuhan, e noi abbiamo paura di noi stessi. Ad esempio se qualcuno seduto accanto o sulla metro tossisce, tutti lo guardano con sospetto.

Tuttavia, nei Paesi limitrofi alla Cina continentale, si cerca di condurre una vita quotidiana il più possibile nella normalità, con dignità e con speranza di poter sconfigger un giorno il virus, con l’impegno e la collaborazione di tutti insieme.

Nelle scorse settimane sono arrivati a casa nostra due pacchi, spediti da Equador e Italia. Il primo è arrivato in un Paese asiatico vicino a noi. I nostri amici di lì hanno pensato che ne avremmo avuto più bisogno e ci hanno mandato una parte delle provviste. Di conseguenza anche noi abbiamo deciso di spedirne una parte al luogo dove è esploso maggiormente il virus.

Naturalmente stiamo parlando delle mascherine, l’oggetto attualmente più ricercato in questa parte dell’Asia. La maschera è stato un simbolo e un distintivo di protesta, oggi è invece un oggetto indispensabile come “salva vita”. Dalla proibizione di portarla durante le manifestazioni si è passati ora a considerarlo un dovere e un obbligo pubblico! Un tempo si portava la maschera per rubare i soldi, oggi si portano i soldi alla ricerca delle maschere!

Mentre tantissimi eventi e appuntamenti pubblici sono stati annullati con amarezza e sacrificio, il ritmo della vita rallenta. Si dedica magari più tempo alla riflessione, forse per meglio comprendere il vero senso dei valori, vivendo con ciò che è essenziale e necessario, convertendosi ad uno stile di vita più sobrio, custodendo con maggior coscienza e responsabilità il creato, e soprattutto guardandoci intorno per scoprire che più forte è la fraternità universale. Tutti siamo fratelli e sorelle. Tutti vanno amati senza riserva, anche chi è un portatore del virus.

Papa Francesco, incontrando la comunita del Movimento dei Focolari a Loppiano (Firenze) nel maggio 2018 ha detto: «Stiamo vivendo un cambiamento di epoca, occorre impegnarsi non solo per l’incontro fra le persone, le culture e i popoli e per un’alleanza tra le civiltà, ma per vincere tutti insieme la sfida epocale di costruire una cultura condivisa dell’incontro e una civiltà globale dell’alleanza».

Allora continuiamo a dare il nostro contributo, con speranza e serenità. Preghiamo insieme perché si possa debellare al più presto questa epidemia dagli effetti imprevedibili.

—-

Leggi anche:

Coronavirus e comunità cristiana

Lo sport ai tempi del virus

 

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons