L’epidemia e il rischio di una risacca

Cosa sta succedendo quest'estate nella lotta al coronavirus? Come pagheremo il fatto di aver abbassato la guardia, soprattutto fra i giovani?

Epidemia 2020. Davanti ad un tratto di mare, dove infuria una burrasca, impressiona la forza delle onde. Le creste mutevoli, che svettano come guglie sui muraglioni compatti dei flutti. Un susseguirsi di verdi e azzurri vertiginosi, di bocche spalancate sugli abissi. La violenza dell’acqua la percepiamo come un assalto frontale: con tutta la loro furia, si abbattono i marosi e travolgono ogni cosa.

Ma come sa bene ogni surfista e ogni marinaio, il pericolo dell’onda è nella risacca. Quando la violenza dell’impatto sembra del tutto esaurita, inizia quel movimento di ritorno, un risucchio violento, che non lascia scampo, finché non cessa da solo per lasciar spazio alla prossima onda. Dal mare, in effetti, ci si salva assecondandone il ritmo.

La natura è prodiga di lezioni gratuite: il suo carattere, unitario e coerente, permette di imparare con l’esperienza e l’osservazione cose utili per sopravvivere.

L’estate dopo la prima (seria) pandemia del nuovo millennio è caratterizzata da una serie di fenomeni sociali che possiamo definire “effetto reflusso”. Dopo aver raggiunto il proprio picco, la diffusione della malattia ha rallentato e lasciato visibili sulla battigia gli effetti dello sconvolgimento sociale, economico e sanitario.

Aziende in crisi, negozi e attività ricettive che stentano a ripartire, nuove povertà, interi settori del mercato del lavoro tagliati fuori dalle nuove regole del distanziamento sociale e dei protocolli di sicurezza; famiglie e ragazzi si dibattono nell’incertezza di come sarà il rientro a scuola, affrontando con un misto di sarcasmo e rabbia la mancanza di indicazioni chiare, che certamente non spiccano fra le nebulose righe dei protocolli di sicurezza.

Anche la sanità, che pure sta continuando a fornire un’eccellente risposta nel controllo dell’epidemia, si trova davanti alla sfida di recuperare le opportunità di salute perdute nel periodo del lockdown: prestazioni diagnostiche, chirurgia ambulatoriale programmata, cure oncologiche, screening e vaccinazioni sono state duramente penalizzate dalle restrizioni. La messa a regime di un piano straordinario per colmare il gap che si è creato richiede una profonda riorganizzazione delle strutture sanitarie e ingenti investimenti in risorse e competenze.

Nel frattempo, mentre annaspiamo nella risacca della ripartenza, siamo consapevoli delle nuove onde che si profilano all’orizzonte: come ci insegnano i dati degli altri Paesi, l’allentamento delle restrizioni e lo scarso rispetto delle misure preventive comporta un nuovo incremento di casi.

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Attualmente, in Italia, c’è una tendenza di aumento costante dei nuovi positivi che va avanti dalla metà di giugno: la percentuale di nuovi casi sul numero di attualmente positivi è sempre in crescita; fino all’ultima settimana di luglio, questo effetto è stato compensato dalla guarigione dei casi più vecchi. Ma dal 31 luglio in avanti, il numero di attuali malati è stato soltanto in crescita.

La curva, insomma, risale.

Le caratteristiche di questa nuova fase, che alcuni  chiamano impropriamente “seconda ondata”, saranno però diverse dallo tsunami che ci ha travolto questo inverno.

grafico2Il numero crescente di nuovi casi giornalieri non comporta per ora la saturazione delle strutture sanitarie. Questo non perché il virus si sia indebolito, ma anche perché sono colpite le fasce di età giovanili, in cui l’infezione comporta sintomi in genere più lievi. Inoltre, il sistema sanitario è più preparato: i servizi territoriali sono dotati di risorse, strumenti e procedure per la gestione dei contatti molto più raffinati. Rispetto all’inizio dell’epidemia, i malati ospedalizzati sono stabilmente circa il 6% del totale, mentre erano il 50% a metà marzo. Questo riflette senz’altro il fatto che esistono protocolli diagnostico-terapeutici domiciliari più efficaci e capacità di presa in carico in strutture diverse dall’ospedale.

 

Ma se ad ammalarsi sono i più giovani, è perché troppi scelgono di non proteggersi; sapendo di rischiare poco (anche se, purtroppo, si tratta di una scommessa non priva di rischi), alcuni rifiutano di adottare le misure di protezione richieste per ridurre la circolazione del virus.

Molti ritengono che il prezzo di questo diffuso atteggiamento di negazione del rischio (in parte fomentato per cinico calcolo demagogico e per interessi personale) lo pagheremo in autunno, quando l’occupazione degli spazi chiusi aumenterà e di conseguenza ogni persona ancora positiva avrà molte più possibilità di contagiarne altre; tutto questo avrà un prezzo, in termini di vite umane, di costi economici, di sofferenze e disagi, di opportunità di cura per altre patologie che verranno nuovamente perdute.

Toccherà a tutti noi interrogarsi se sarà valso il prezzo di un aperitivo o di un assembramento in spiaggia, di una cena spensierata o di un concerto affollato.

In queste settimane si decide se la risacca ci troverà aggrappati al vecchio modo di fare le cose e ci avrà trascinati sul fondo, dove la prossima ondata rischia di sommergerci; o se invece, alzando la testa dall’acqua, saremo riusciti ad assecondare il nuovo contesto, trovando altri modi di vivere le interazioni sociali, e tutto questo ci avrà portati in cima all’onda di un fenomeno che non possiamo evitare, ma che non deve travolgerci inevitabilmente.

FINE PRIMA PARTE

Dr. Alberto Marsilio – Medico di medicina generale e membro comitato etico per la pratica clinica) AULSS3 Mira, Venezia.

Dr. Spartaco Mencaroni – Responsabile UOS Gestione Servizi in Outsourcing – Rete Ospedaliera ASL Toscana Nord Ovest

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