Leopardi, il poeta dell’infinito

È un Leopardi dettagliato, lavorato, decisamente più interiore che esteriore, quello che Sergio Rubini porta su Rai1 in due serate: il 7 e l’8 gennaio prossimi, in prima serata. In due corpose puntate dedicate all’uomo che nel sottotitolo viene definito “Il poeta dell’infinito”, come a testimoniare la grandezza, la capacità smisurata di Giacomo Leopardi di entrare nelle cose più profonde, ma pulsanti della vita umana: intangibili, se non con il cuore e con la mente, ma potenti, urgenti e determinanti per ogni persona sensibile, come la felicità, la natura, l’amore, il tempo, la politica, tra le altre; insomma, ogni stagione emotiva, tra sole e temporali, della nostra vita interiore. Perciò un Leopardi intellettuale, filosofico, esistenziale e anche politico, appunto, dentro il poeta e dentro l’uomo. All’interno di una vita sofferente nel corpo ma pulsante, incredibilmente fertile nel produrre ed afferrare emozioni, riflessioni, sentimenti sul proprio io e il mondo intorno.
Il titolo è diretto: Leopardi. Lui, completo, interpretato da Leonardo Maltese in modo misurato, non particolarmente caricato nel corpo. Senza gobba, pedinato, ascoltato, riletto, dall’infanzia alla morte, da Recanati a Napoli passando per Firenze, Roma e altre città. Riempito di pensieri densi, di parole significative, del suo potere di entrare nel cuore delle cose, non senza dolore, per restituirne il senso più complesso.

Il poeta è raccontato nei rapporti col padre interpretato da Alessio Boni, con la madre incarnata da Valentina Cervi, con Pietro Giordani (da Fausto Russo Alesi), fino ad Antonio Ranieri (da Cristiano Caccamo) e Fanny Targioni (da Giusy Buscemi), senza dimenticare Don Carmine, vestito dalla bravura di Alessandro Preziosi. Tutto il cast, a partire da Rubini, ha raccontato sfumature e caratteristiche di questa attesa fiction Rai che apre il 2025.
Il regista ha così definito il suo Giacomo Leopardi: «Ho cercato di raccontare la morfologia del suo pensiero, la sua visione del mondo piuttosto che il suo corpo e la sua fisicità. Abbiamo cercato di raccontare la storia di un intellettuale incompreso dai suoi contemporanei perché veggente come tutti i poeti e i più grandi pensatori. Il suo pensiero quanto mai attuale: lo testimoniano il sospetto nutrito nei confronti della scienza, all’inizio della prima società industriale. Lui sospettava di quella che definiva società delle macchine (penso a quello che stiamo vivendo oggi con l’intelligenza artificiale) mentre tutti i progressisti erano affascinati dai risultati promessi dalla scienza. Penso anche ai sospetti che Leopardi aveva nei confronti della politica, che si preoccupa di masse felici e non di individui felici. Egli non riusciva a supporre masse felici che non partissero da individui felici. Ha sempre messo l’uomo al centro della scienza. Penso infine alla sua poesia più famosa, L’infinito. Al messaggio di speranza che contiene, imperniato sull’uomo e sulla sua capacità di immaginare. Con quella poesia, Leopardi ci spiega che se abbiamo un ostacolo tra noi e i nostri desideri e sogni (la chiamava siepe) con la forza dell’immaginazione possiamo raggiungere addirittura l’infinito. Perciò, è un messaggio di speranza anche per i giovani. Ecco – ha proseguito Rubini –, abbiamo pensato che questo fosse il sale del nostro racconto, di una sceneggiatura lavorata per anni, approfondendo il materiale, soprattutto avendo in mente di non raccontare la cronologia ma il pensiero di un poeta che è nel DNA di tutti noi, un’icona pop, un eternamente giovane. Abbiamo voluto farlo conoscere da questo nuovo punto di vista, non dissimile dalla sua vita, ma privo di quella patina un po’ presepiale, della figurina, con la gobba. Abbiamo pensato di occuparci del sale del suo pensiero.
Leonardo Maltese, il protagonista, ha ribadito l’essere “eterno giovane” di Leopardi. Quando abbiamo una delusione d’amore – ha spiegato –, o ci sentiamo incompresi, e quel dolore sembra enorme e difficile da esprimere, servono persone come Leopardi capaci di avvicinarsi a quella definizione di dolore intangibile, difficile da rappresentare. Lui è stato tra i più capaci di esprimere certi sentimenti profondi dell’essere umano. Leopardi era un ipersensibile. Ha vissuto momenti di estrema depressione e di acuta malinconia, ma anche di grande vitalità e ricerca di amore. Si è innamorato tante volte ed è stato amato. Nel racconto c’è questa “rivoluzione” fondamentale, assieme al suo essere stato viaggiatore, non chiuso nella sua stanza».
Fausto Russo Alesi ha parlato del personaggio di Pietro Giordani e della sua importanza nella vita di Leopardi. Egli «rappresenta quei maestri che aiutano a liberare un grande potenziale, quando lo vedono. Giacomo Leopardi ne aveva bisogno. C’era già tutto in lui, ma la sua formazione era stata piena di costrizioni e forti regole. Aveva bisogno di togliere certe catene e Pietro Giordani, da anticonformista devoto al talento, lo aiuta a farlo».

Alessio Boni ha parlato del suo personaggio, il conte Monaldo Leopardi, padre di Giacomo: «Un signore austero, molto rigido, credente, cristiano ma, in quanto incapace di andare oltre certi schemi, bigotto: una parola forte, ma posso dirlo dopo averlo studiato. Adorava la letteratura, la filosofia, ma a modo suo. A dieci anni ha riconosciuto il talento del figlio ma lo ha anche invidiato, e questo ha creato in lui un caleidoscopio di emotività spaventosa. Non era affettuoso, ma amava. Allora non ci si abbracciava, non ci si dava un bacio, ma l’amore c’era, come l’afflato alla libertà e la sensibilità al bello. Il conte Monaldo voleva dare il sentiero giusto per far diventare Giacomo un intellettuale. Era fiero di lui, ma i geni – e Leopardi lo era – anticipano prima quello che i comuni mortali comprendono dopo. Giacomo aveva capito il vero senso della libertà e del patriottismo, e attraverso Pietro Giordani è riuscito a liberare quello che sentiva dentro. Ha avuto bisogno di una iniezione di fiducia, perché a quell’età, dopo un padre e una madre molto austeri e spigolosi, hai paura di quello che fai. Aveva dentro un mondo che è venuto fuori come magma da un vulcano. Attraverso Pietro Giordani e altri incontri è scappato, ma suo padre lo amava e soffriva, temendo che con il fisico così debilitato potesse perdersi fuori dal suo recinto, ma anche che potesse incontrare altri pensieri. La cosa straordinaria di questo lavoro è stata tirare fuori l’essenza del personaggio, oltre le etichette. Mi fa piacere che abbiano tolto la gobba per andare verso la poesia che non ha confini. Il vero progresso è crescere in un’umanità e lui lo aveva capito».