Leopardi a Venezia
Era atteso e non ha deluso il film di Mario Martone sul Giovane favoloso, cioè Leopardi. Occorre dirlo: l’interpretazione di Elio Germano è da Coppa Volpi: ha dato tutto sé stesso, corpo e spirito nel poeta. Sguardi – occhi ora teneri ora dolenti ora durissimi -, movimenti – sempre più sofferti e sciancati-, parole che, soprattutto nella recitazione-creazione delle poesie più forti (memorabile L’Infinito), ma pure nei dialoghi rivelatori di una personalità ribollente e modernissima, rendono Giacomo-Elio attuale e vivo.
Il film vede infatti un uomo vivo, appassionato, caustico, profetico. Moderno. Ma Martone non esagera, la narrazione è asciutta, procede per quadri, primi piani, nature e interni straordinari (alcuni girati in casa Leopardi) e il brivido della commozione ci prende più di una volta, perché il film è così umile e sincero, rispettoso del mistero di quest’uomo da diventare racconto calmo, ma estremamente profondo.
I personaggi come la sorella Paolina (Isabella Ragonese, forse non eccelsa), il padre Monaldo (un perfetto Massimo Popolizio), la madre Adelaide (Raffaella Giordano, algida al punto giusto), l’amico Ranieri (un estroverso, ma misurato Michele Riondino), Fanny (Anna Mouglalis, fascinosa) vengono caratterizzati in ritratti sobri e scavati come pure l’ambiente, da una Recanati ancora attuale ad una Napoli vesuviana sordida e meravigliosa.
Non si tratta però di affreschi, ma di sguardi sull’animo del poeta nei diversi – non tutti, per fortuna – momenti della vita, dall’infanzia alla morte, raccontati come un grande atto d’amore ad un uomo felicissimo ed infelicissimo, sullo sfondo di una fotografia pittorica e delle musiche di Sascha Ring e del Rossini serio e buffo.
Un lavoro minuzioso, perfetto nei costumi, che non indugia a speculazioni di nessun genere che sarebbero fuorvianti, ma che risponde anche ad un impegno etico – come ha detto Martone – nei confronti del grande Giacomo.