Leonidas Kavakos
L'artista greco ha chiuso la stagione annuale all'Accademia di santa Cecilia, a Roma, con la Quinta Sinfonia di Bethoven tra le ovazioni del pubblico
Il violinista e direttore greco ha chiuso alla grande la stagione annuale dell’Accademia nazionale di santa Cecilia a Roma. Un programma popolare e tutto beethoveniano: il concerto per violino e orchestra, la Quinta Sinfonia. Diciamo subito che, il meglio, Kavakos lo dà come solista. Il concerto per violino sotto le sue dita mobilissime e l’archetto dinamico è stato un trionfo romantico di passione e di ritmo. Un vulcano mediterraneo, più che germanico, di suoni. Vorticosi il primo e il terzo movimento, acceso di fuoco languido e sensibile il tempo centrale, con l’orchestra da sfondo al virtuosismo del solista. È un Beethoven ancora giovanile come animo, aperto all’amore e ai suoi tormenti, focoso se si vuole, ma sempre preciso nello svolgimento del tema, nelle sue variazioni e nella cadenza.
Kavakos, che suona con un atteggiamento da rockstar della classica scatenando ovazioni dal pubblico, ha una tecnica superlativa, una dinamica travolgente, ma anche molto (forse troppo?) gusto per l’effetto. Questa sua propensione per lo sbalordimento del pubblico si è notata nella interpretazione della Quinta Sinfonia. Tempi accelerati, sonorità in bianco e nero, senso trionfalistico onnipresente tale da travolgere la sala stracolma. L’orchestra ha suonato con evidente piacere, quasi liberandosi dalla consueta disciplina e dando sfogo alla gioia del suono, ben oltre la compostezza “classica”.
Insomma, concerto finale, voglia di scatenarsi e un solista-direttore che non aspetta altro. Kavakos, intendiamoci, è musicista passionale certo, ma di raffinata musicalità. E ciò basta a fargli perdonare gli inevitabili (?) eccessi virtuosistici, sempre però di alto livello.