Léon Bloy, esagerato di mestiere

Il 3 novembre 1917 moriva uno dei maggiori scrittori “cattolici” mai esistiti. La sua opera letteraria, riconosciuta di altissimo valore, resta un esempio di fedeltà assoluta al Cristo povero

Visse in costante povertà, osteggiato se non odiato, sempre pronto a vituperare la mollezza dei suoi contemporanei, attento alla tradizione cattolica da rispettare ma incapace di tacere sulle questioni di principio. Così scrive oggi su l’Osservatore romano Juan Manuel de Prada: «Nella collera di Bloy c’è qualcosa che ci ricorda quei santi stiliti che gridano nel deserto contro un mondo sensuale, materialista, dedito a passioni da letamaio, e lanciano invettive arroganti, insulti atroci, vituperi che hanno l’effetto di uno sputo sul volto dei suoi contemporanei. E tuttavia c’è in Bloy anche una sensibilità ferita e non solo che ferisce, una sorta di sensibilità francescana che lo rende commovente ed eroico».

Lo scrittore francese, nato nel 1846, si convertì a 23 anni e conservò per tutta la vita l’intransigenza del convertito adulto, di colui che d’improvviso si trova accecato dalla luce di Dio che non può non risaltare sul buio circostante. Così la sua perorazione continua per la causa cristiana e cattolica andava di pari passo con il vituperio di tutto ciò che, secondo lui, non era compatibile con la purezza del messaggio di Cristo. In fondo, con l’Apocalisse, Bloy “vomitava i tiepidi”, ogni giorno, sistematicamente. Naturalmente per questo motivo non fu un intellettuale che fece carriera, nonostante le sue qualità letterarie assolutamente straordinarie. Appena una porta si apriva, lui stesso provvedeva a ostruirla con continue richieste di autenticità e di intransigenza di fede, costringendo in qualche modo i suoi interlocutori a richiuderla.

Da giovanissimo aveva fatto parte della corrente simbolista, violentemente anticlericale, prima di abbracciare la fede per l’amicizia con il colto scrittore Barbey d’Aurevilly, convincendosi di essere destinato da Dio a scrivere opere letterarie decisive per l’avvenire della Chiesa e dell’umanità. Cattolico e decadentista lo fu nel contempo. Dopo un passaggio in monastero, ben presto fallito per la sua insopprimibile creatività e incapacità di sottomettersi a qualsiasi autorità terrena, sposò la devota danese Jeanne Molbeck, matrimonio che durò fino alla sua morte. Si legò spiritualmente più tardi all’Abbé Tardif de la Salette, che lo introdusse alla simbologia biblica e mariana. Conobbe Verlaine e altri poeti dell’epoca. Tra le sue opere più importanti La donna povera (1897), La salvezza attraverso gli ebrei (1892), Il sangue del povero (1909) e L’anima di Napoleone (1912). Dopo il suo decesso, a seguito di una dolorosissima e lunga malattia, morte avvenuta il 3 novembre 1917, la sua influenza letteraria crebbe a dismisura, raggiungendo autori quali Céline, Borges, Bernanos e Jünger.

Forse non a caso papa Francesco ama tanto Léon Bloy. Un uomo intransigente perché eccessivo, esagerato, mai sottomesso. Ma Dio stesso non è “l’Eccesso”?

 

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