L’ennesimo capitolo della vicenda Marò

Un'altra settimana per capire come finirà la vicenda giudiziaria dei due fucilieri. Due sistemi giudiziari diversissimi a confronto
Salvatore Girone e Massimilian Latorre

Ieri il giudice della Corte suprema B.S. Chauhan ha rinviato a lunedì prossimo l'udienza del processo. Un nuovo rinvio, quindi, ma con una clausola precisa: la pubblica accusa ha ora un limite non prorogabile di una settimana per presentare una soluzione sulle modalità di incriminazione dei militari. «Vi concedo ancora una settimana, ma non sono disposto ad attendere oltre», ha sanzionato il magistrato indiano.

Continua, quindi, l’ormai annosa vicenda. Siamo a due anni di eventi nebulosi e contraddittori e molti in Italia sperano in una soluzione ormai rapida della vicenda. In questi giorni c'è stato un accavallarsi di notizie sui due militari che si trovano nell’Ambasciata italiana a Chanakyapuri, la zona diplomatica della capitale. Una delegazione di parlamentari, per altro di alto profilo politico e istituzionale, ha fatto visita ai due accusati; il presidente italiano Giorgio Napolitano li ha contattati per telefono e ha definito «sconcertante» il comportamento dell’India, parole non indifferenti nei confronti del Paese asiatico. L’Unione europea ha alzato i toni con minacce precise che andrebbero a toccare gli affari e i contratti che i vari Paesi intrattengono con il gigante del sub-continente. Insomma, in Italia il caso è diventato, nuovamente, una notizia da prima pagina.

Dovremmo riflettere, tuttavia, su alcuni aspetti. Quello che sta capitando ai due militari italiani accade, quasi di norma, a molti stranieri che hanno la ventura o sventura di finire, per i motivi più svariati, nelle maglie della giustizia indiana. Ci sono famiglie che si sono indebitate fino a finire sul lastrico per trovare il modo di difendere i propri figli, a prescindere dalla loro colpevolezza o meno. I due militari hanno, per lo meno, la fortuna di essere personaggi pubblici e quindi di aver avuto, fino ad oggi, concessioni di rilievo: permanenza all’interno dell’Ambasciata italiana, due rientri nel loro Paese e un'ssistenza di alto livello, sia per quanto riguarda la cura delle loro persone che per le questioni giudiziarie.

A questo punto, senza entrare nel merito della colpevolezza o meno – è diritto e dovere degli organi competenti appurarla a mezzo di indagini, eventuali formulazione di accuse e svolgimento del relativo processo –, dovremmo interrogarci sul comportamento piuttosto confuso dell'Italia. Quanto detto sopra sui procedimenti giudiziari in India è cosa risaputa e pare strano che ci si meravigli ora a due anni di distanza di un comportamento di questo tipo da parte delle autorità indiane. Il sistema giudiziario italiano, e questo è cosa ben nota nel mondo, non ha un funzionamento che può vantarsi di essere esemplare. Inoltre, è stata una scelta ben precisa del governo italiano di permettere a personale militare armato di navigare sulla flotta commerciale in difesa da attacchi di pirateria.

Purtroppo, non si è sufficientemente chiarito – anche se di tanto in tanto si è citata la cosa – che tale norma non è mai stata armonizzata con la regolamentazione internazionale. Nelle prime settimane, dopo la decisione del comandante della nave di tornare nel porto di Kochi e di consegnare di fatto i due alle autorità indiane, si è gestita la vicenda senza tener conto della sensibilità indiana e delle elezioni locali nello Stato del Kerala. Non ha giovato a tutta la vicenda, poi, il noto rifiuto dell'Italia di far rientrare in India i due militari, salvo poi cambiare posizione. Infine, si stanno avvicinando le elezioni politiche in India, previste per il mese di maggio. Il Partito del Congresso, attualmente al governo, sa benissimo che un'eventuale mancanza di oculatezza nella gestione del caso significherebbe suscitare le ire dell’opposizione che da sempre accusa il partito al governo di essere telecomandato da una italiana, Sonia Gandhi, il cui figlio Rahul, sarà il candidato a primo ministro.

Tutto questo complica le cose e la diplomazia italiana in questi anni non ha mostrato dimestichezza e attenzione nel trattare con l'India, facendo inizialmente troppo chiasso, quando la cosa poteva essere risolta con toni più misurati e lontano dai media, uscendo a sorpresa con la mossa di trattenerli in patria per poi tornare sui propri passi e, infine, alzando ora la voce coinvolgendo la comunità internazionale, soprattutto quella europea. L’India, che ovviamente non esce dalla vicenda indenne di fronte all’opinione pubblica internazionale, da anni sta mirando a un posto nel Consiglio permanente dell’Onu e su questo punto, forse, si sarebbero potuto giocare carte diplomatiche ben più efficaci.

Quello che emerge è, senza dubbio, un’immagine del Paese asiatico che non offre garanzie a livello internazionale – ha recentemente avuto un contenzioso spiacevole con gli Usa per una sua diplomatica presso il Consolato generale a New York –, ma anche di una Italia piuttosto debole sullo scacchiere internazionale. Probabilmente, al di là di colpe e accuse più o meno fondate, se gli accusati avessero avuto un’altra nazionalità europea forse la posizione del governo indiano sarebbe stata diversa.

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