L’enigmatico mondo quantistico
La fisica quantistica, o meccanica quantistica (MQ), penetrando sempre più profondamente nei diversi livelli microscopici della realtà, è pervenuta allo studio di enti microscopici quali molecole, atomi, particelle elementari come elettroni protoni fotoni, ottenendo predizioni quantitativamente molto accurate su una vasta gamma di fenomeni.
Un successo travolgente e inebriante, che ha lasciato in ombra per lungo tempo alcune problematiche molto originali, se non paradossali nei suoi fondamenti.
Un perdurante disagio è espresso nelle testimonianze di scienziati di grande levatura come Murray Gell-Man (premio Nobel): «La MQ, disciplina misteriosa e confusa che nessuno di noi capisce effettivamente, ma che sappiamo usare». Oppure Richard Feynman (premio Nobel): «Abbiamo sempre avuto molte difficoltà nel capire la rappresentazione del mondo della MQ e non sono ancora arrivato al punto che questa materia mi sia chiara». Albert Einstein bolla la MQ come «un vero calcolo stregonesco» (lettera all’amico Michele Besso, 1925), e al congresso Solvay (ottobre 1927) ammetterà umilmente «sono consapevole che non sono penetrato abbastanza in profondità nella essenza della MQ».
Ma la MQ suscitava inquietudini anche in qualche non addetto ai lavori. Per esempio Simone Weil concludeva la sua dura critica della MQ con un giudizio implacabile: «La scomparsa della verità scientifica ha fatto sparire la verità stessa», sottomettendola alle potenze servili dell’utilitarismo e della tecnica, tarpando così le ali a quella passione per la verità che è l’anima di ogni impresa scientifica.
Se la MQ è stata definita dal matematico Renè Thom «incontestabilmente lo scandalo intellettuale del XX secolo», la maggioranza degli scienziati non si sono sentiti particolarmente turbati e ancor meno scandalizzati, anzi compiaciuti perché «la MQ funziona per tutti gli aspetti pratici: il resto che importa?». Dunque per diversi anni non si posero altri problemi. Einstein cercò di scuotere la comunità scientifica proponendo in una pubblicazione del 1935 una nuova discussione sui fondamenti della MQ, tuttavia la problematica da lui sollevata ebbe pochissima risonanza.
Ma la passione per la verità bruciava ancora nel cuore di alcuni scienziati (pochi): dopo ben trent’anni, nel 1964 il fisico irlandese John S. Bell, ricercatore al CERN, affrontava il problema con molto acume e semplicità, evidenziando un’insanabile contraddizione tra MQ e le idee di Einstein.Inoltre forniva un criterio quantitativo per una verifica sperimentale. Bisognerà però attendere quindici anni prima che venga preso sul serio con una successione di esperimenti sempre più accurati che alla fine pronunciavano un verdetto definitivo a favore della MQ e contro la critica di Einstein.
Veniva sollevato il velo su una proprietà sconvolgente: l’interconnessione quantistica tra enti spazialmente separati. Era proprio quello che Einstein rigettava: qualche anno prima, in una lettera all’amico e collega Max Born si era sfogato definendola «una fantasmatica azione a distanza» (nel suo colorito tedesco spukhafte Fernwirkungen). Di cosa si tratta? Vediamo un esempio.
Consideriamo due micro-particelle che emergono come frammenti di disintegrazione di una particella composta. I due frammenti si allontanano l’uno dall’altro in direzioni e velocità opposte. Ogni particella è dotata di un momento angolare intrinseco detto spin, indipendente dal suo moto spaziale, che può visualizzarsi come quello di una microscopica trottola rotante attorno al suo asse con un determinato verso di rotazione (“spin su”) oppure con il verso opposto (“spin giù”).
La conservazione del momento angolare, inizialmente nullo, impone che se una particella ha lo spin in una direzione, p. es. “spin su”, l’altra ha lo spin nella direzione opposta, cioè “spin giù” e viceversa. Le due particelle non si possono quindi considerare come indipendenti, ma sono interconnesse da una reciproca correlazione che persiste nonostante la separazione spaziale. Esperimenti sempre più precisi e diversificati, su coppie di protoni o di fotoni polarizzati, hanno provato questa correlazione anche per separazioni macroscopiche: in un esperimento con coppie di fotoni la loro correlazione è stata verificata su una distanza di quindici chilometri. Gli esperimenti sono stati estesi a terne di particelle e così via.
Questo legame, non attribuibile ad alcuna tra le forze conosciute (o sconosciute, come sperava Einstein), è una manifestazione di intreccio quantistico (quantum entanglement). Dal punto di vista teorico si tratta di una proprietà peculiare della MQ che si manifesta quando si considera un sistema composto, cioè almeno due enti microscopici. Con una visione molto originale, la MQ non rappresenta un singolo ente microscopico come determinato, ma come un insieme di potenzialità: come per esempio lo “spin su” e lo “spin giù”. Solo quando un ente microscopico entra in rapporto con un altro ente queste potenzialità vengono chiamate dalla penombra dell’essere alla luce della realtà esistente, anche se questo evento ammette solo un definizione probabilistica.
Quando si considera un sistema composito di due o più enti, ne risulta un ente molto più ricco, in quanto tutte le potenzialità si moltiplicano tra loro in un intreccio inestricabile, generando un ente irriducibile alle sue parti componenti. La considerazione delle parti come enti semplicemente giustapposti, separabili nelle loro individualità, rappresenta un enorme riduzione e incomprensione delle potenzialità del sistema complessivo. Da questo punto di vista l’universo già nella sua intima struttura si rivela come indiviso.