L’elezione di Trump vista dai fronti caldi del mondo
Uno dei lanci d’agenzia giunti nei momenti in cui è apparsa chiara la vittoria di Donald Trump riferiva di come la Duma, il Parlamento russo, avesse accolto la notizia con un applauso: e infatti tutti i giornali del Paese di Putin – che è stato tra i primi a congratularsi con i neoeletto – dedicano amplissimo spazio alla questione. Solo Utro.ru, a titolo di esempio, ha quasi tutta la home page occupata da articoli sull’argomento: tra i tanti campeggia il titolo «La Russia è soddisfatta dall’arrivo di Trump», e il sommario specifica come «la vittoria di Donald Trump soddisfi la Russia più di quanto l’avrebbe fatto quella della sua rivale. Se non altro, il futuro presidente americano non ha escluso apertamente, come Hillary Clinton, la possibilità di una normalizzazione delle relazioni con il nostro Paese».
Anche il Kommersant sottolinea come Trump abbia dichiarato che «faremo gli interessi anche delle altre nazioni», esprime l’auspicio di un futuro miglioramento delle relazioni tra i due Paesi; e non manca comunque di dare spazio all’invito fatto dal presidente ucraino Poroshenko al futuro presidente americano, ricordando che gli Usa hanno la «responsabilità della leadership globale nel mondo democratico». In quel di Mosca pare insomma si speri nella cooperazione futura, anche per quanto riguarda i nodi ancora da sciogliere in Ucraina.
Ad avere prospettive assai meno rosee in quanto a relazioni con il presidente designato è invece il Messico: e le preoccupazioni suscitate non devono essere poche se, come riferisce il Diario de México, poche ore dopo l’elezione si è tenuta una conferenza stampa del segretario dell’Azienda di Credito Pubblico e del governatore del Banco del Messico per assicurare che «l’elezione di Donald Trump non avrà alcun effetto immediato in Messico. Il Paese gode di stabilità macroeconomica e forza fiscale». Parole che sembrano potere poco di fronte ai timori suscitati dalla caduta verticale del valore del Peso, e dalle promesse “ostili” di “The Donald” verso i vicini a Sud. Tanto che El Economista titola senza mezzi termini «Gli Stati Uniti hanno votato per il muro e le menzogne di Donald Trump»; ma invita altresì a «voltare pagina» dopo questa campagna dai toni accesi, e ad affrontare piuttosto le questioni locali nella zona al confine con gli Usa.
Il britannico The Times, pur titolando «Trump lascia il mondo sotto shock», in un lungo editoriale osserva come «il prossimo leader del mondo libero dovrà dimostrare di saper governare, non solo vincere»; e osserva come a questo scopo abbia già iniziato a cercare di «sanare le ferite» provocate da una campagna elettorale carica d’odio. Al di là della Manica, in Francia l’editoriale di Le Monde porta il titolo di «Ha vinto la collera»; anzi, un vero e proprio «movimento della collera, basato su due questioni: il controllo dei flussi migratori e la disuguaglianza». Due temi che «quale che sia il Paese, sono ancorati in una critica diffusa della mondializzazione. Così è stato per la Brexit, e così è stato per Trump che aveva definito la sua elezione “una Brexit alla terza potenza”».
Al Jazeera, invece, dedica un articolo al «Medio Oriente che Obama ha lasciato dietro di sé»: Trump «eredita una “guerra perpetua” nella Regione», perché «per quanto Obama avesse iniziato il suo mandato con la volontà di riformulare l’impegno degli Usa dopo l’era Bush», e «sebbene abbia evitato di mandare truppe sul terreno, nondimeno si è impegnato in pesanti interventi aerei e con i droni»; perciò, sostiene Abdullah Al-Arian, «gli Usa sono andati in giro per il mondo bombardando nel nome della guerra al terrorismo», lasciando «un’eredità controversa» in Medioriente. E non è ben chiaro come Trump si muoverà: «Ha parlato di qualsiasi possibilità, dalla guerra al totale disimpegno della Regione. Dubito seriamente che sarà politicamente o strategicamente fattibile aumentare l’impegno nella zona». Lasciandola però, appunto, in uno stato di caos.
Anche l’Asia guarda a Trump: China Daily dà voce a diversi studiosi che osservano come le relazioni tra i Cina e Usa potrebbero diventare più difficili, date le posizioni protezionistiche del nuovo presidente in quanto a scambi commerciali. Anche sul fronte del cambiamento climatico, peraltro, il giornale ricorda come Trump avesse affermato che «il concetto di riscaldamento climatico è stato creato da e per i cinesi per rendere le imprese americane meno competitive»: insomma, ci sarà di che ragionare, anche se «Trump sa bene come fare affari, e questo dovrebbe contribuire a buone relazioni commerciali».
Più a Sud, il presidente filippino Duterte – riferisce The Philippine Star nel titolo di apertura – è «ansioso di collaborare con l’amministrazione Trump»; ma del resto Duterte, ricorda anche il Manila Times, si era sempre mantenuto su posizioni equilibrate rispetto ad entrambi i candidati. L’auspicio comunque del ministro degli Esteri Perfecto Yasay è quello di «un cambiamento che segni un miglioramento delle relazioni tra Filippine e Usa»; anche se l’editoriale dello stesso giornale definisce l’elezione «uno tsunami politico» che, insieme ad una vicenda interna come l’assassinio del sindaco Rolando Espinosa, avrà «un impatto profondo sulla presidenza di Duterte».